Probabile che la stragrande maggioranza dei consumatori di film ignori l'importanza se non l'esistenza di James Foley, cineasta che un tumore al cervello ha portato via a 71 anni. Eppure ha fatto la fortuna di molti suoi produttori (con una sola inaspettata quanto clamorosa eccezione), sia sul grande che sul piccolo schermo. E con almeno due opere ragguardevoli in curriculum.
Figlio di un avvocato e originario di Brooklyn, fu scoperto e protetto da Hal Ashby mentre era praticamente ancora all’università. Anzi, grazie all'autore di L'ultima corvèe e Oltre il giardino, potè debuttare con Amare con rabbia (1984), love story alternativa e “ribelle” a bassissimo budget, seguito da A distanza ravvicinata (1986, presentato al Festival di Berlino), una torbida crime story rurale che funzionò come trampolino di lancio per un giovane Sean Penn (accanto a Christopher Walken).
Non fu un successone, ma Foley aveva altro cui pensare, aveva cominciato a dirigere nientemeno che Madonna: sue le regie dei videoclip di alcuni leggendari hits della showgirl, come Live to Hell, Papa don't Preach, True Blue. Pensò allora che sul set insieme avrebbero fatto il botto planetario, invece la bizzarra commedia Who's That Girl (1987) si rivelò un flop clamoroso (quello di cui si accennava all'inizio) che per il cineasta (“shockato”) rimase assolutamente inspiegabile. Tre anni dopo, quello che per alcuni resta il suo capolavoro e che il totem della critica Usa Roger Ebert definì “uno dei più puri e incompresi tra i moderni film noir”. Stiamo parlando di Più tardi al buio (1990), da un romanzo di Jim Thompson, con Jason Patric e Rachel Ward.
Erano gli anni in cui Foley aveva “la mano calda”, del 1992 è infatti Americani (ovvero Glengarry Glen Ross, dalla pièce di David Mamet), ferocissimo gioco al massacro tra agenti immobiliari: due conserveranno il posto, gli altri saranno licenziati in tronco. Grandissima la prova degli interpreti, con Al Pacino candidato all'Oscar e grandi exploit di Jack Lemmon, Kevin Spacey e, inaspettatamente, di Alec Baldwin.
Da lì in poi ci fu come un ridimensionamento ben remunerato con successi tranquilli, deviando poco da un “suo” personale filo rosso, come dichiarò in una intervista, ovvero occuparsi di “Uomini alienati, fuori dagli schemi, spesso coinvolti in dinamiche di potere e tradimento ”. Citiamo così almeno i thriller Fear (1996), L'ultimo appello (1996, da John Grisham, con Gene Hackman orribile razzista condannato a morte), The Corruptor (1999, film hollywoodiano del divo hongkonghese Chow Yun Fat) e il delizioso rompicapo di Confidence-la truffa perfetta (2003). Alla fine del suo percorso cinematografico gli toccarono due sequel de 50 sfumature di...(Nero e poi Rosso), anni 2017 e 2018, ovviamente successi miliardari, in cui conobbe peraltro “il disonore” di essere candidato ai Razzie Awards, sorta di parodia degli Oscar in cui vengono “premiati” i peggiori film dell'anno (per la cronaca fu battuto da Tony Leondis per Emoji e l'anno dopo da Etan Cohen – occhio non è Ethan! – per Holmes & Watson). La sua carriera andò comunque molto meglio in tv, dove diresse episodi in serie prestigiose: Twin Peaks (1991) Hannibal (2013), House of Cards (ben 12 tra il 2013 e il 2015), Wayward Pines (2015) e Billions (2016).