Non hanno stupito certo, la mattina di martedì 12 alla chiesa del Sacro Cuore in via Nizza a Torino, a poche centinaia di metri dalla sua abitazione di via Saluzzo, le fittissime presenze (non scevre da qualche assenza) alle esequie di Gianni Rondolino. Le ultime, in ordine di tempo, di una recente serie (Tullio Kezich a Roma, poi Claudio G. Fava a Genova, infine poche settimane fa Morando Morandini a Milano...) che ha praticamente segnato l'uscita anche fisica, biologica, dalla scena della vita di quella che è stata la grande critica cinematografica di libera opinione avvalorata dalla militanza quotidianistica, che ha conferito valori alla nostra cultura dell'ultimo mezzo secolo.
A differenza degli altri tre colleghi appena evocati, Gianni aveva imboccato la strada della cattedra universitaria. Ma l'aveva percorsa, contrassegnata e conclusa nella maniera meno “accademica” possibile, come possono testimoniare i numerosissimi suoi allievi che sono venuti via via rivestendo importanti ruoli nella ricerca, nella pubblicistica e nell'organizzazione culturale, battendo le vie che erano state loro aperte di lui, con un'abilità e una lungimiranza che non trovano riscontri in quelle di alcun'altra personalità della culturale cinematografica italiana. Nessuno degli altri - pur limitandosi ai più generosi - tra i maestri della recente vicenda della storia del cinema impartita negli atenei (penso ad esempio a Micciché e a Farassino, a Brunetta e a Tinazzi, ad Argentieri e a Costa) ha potuto annoverare un simile numero di discepoli divenuti in qualche modo presenze-chiave decisive nel nostro scenario.
Non è mai né bello né appropriato ricordare personalità scomparse parlando di sé. Ma con due veloci esempi che mi riguardano vorrei evocare insieme, in devozione e in amicizia, il ruolo precursore e la personalità inimitabile di Gianni.
Estate 1962. Ho sedici anni e sono fresco della scoperta (determinante) delle riviste di cinema. Leggo, primo saggio di cinema in assoluto - acquistato contrassegno su segnalazione di una di esse: “Cinema Nuovo”, tanto per la precisione... - il “quaderno” n. 3 del Circolo Monzese del Cinema (allora magistralmente attivo grazie ad Ezio Stringa e Marco Cantù): Marcel Carné. Revisione di un mito, a firma dell'allora a me ignoto Rondolino. Mi si apre un mondo, anzi, più mondi: il cinema francese degli anni Trenta-Quaranta, e soprattutto l'appassionante possibilità, appunto, di rivedere e ripensare i giudizi storico-critici, le certezze acquisite, il misurarsi della produzione artistica col tempo e le oscillazioni del gusto. Credo che l'incauta e ingenua voglia di imitare quel lavoro e di dedicarmici a mia volta, con esiti inevitabilmente oscuri, debba molto a quel modesto e purtroppo perduto fascicolo. Inverno 1977. E' appena uscita nella prima, lussureggiante e fotograficamente (non solo per l'epoca) edizione rilegata in tre volumoni in cofanetto dalla Utet, la Storia del cinema del Professor Rondolino. Giuliana Callegari ed io, alessandrini da soli quattro anni e ancora praticamente ignoti sulla piazza, da poche settimane rimasta orfana per la prematura e quasi improvvisa scomparsa di Adelio Ferrero, decidiamo di volerne organizzare una presentazione presso l'allora esistente e operante Casa della Cultura. Ci rivolgiamo scettici al Comune. Invece un assessore alla Cultura non molto brillante quanto a udito, ma capace di ascoltare nella sostanza, Gianfranco Zino, accoglie al volo l'idea, e ne esce una serata bella fino all'indimenticabile nel dialogare vivace e spontaneo di Giuliana e dell'autore, che, come sempre accade in questi casi, si erano visti per la prima volta in vita loro a cena un'ora prima. Ma ne esce soprattutto la nostra meraviglia e gioia per l'affabilità comunicativa e la schietta cordialità personale, sempre sottesa a una dolce ma pungente ironia, di quest'uomo. La cui presenza non si allontanerà più dalla nostra vita, pur poco torinese in termini di rapporti culturali, richiamata via via nel tempo grazie agli incontri nei festival e nei convegni, e particolarmente nell'annuale appuntamento ottobrino delle Giornate del Muto di Pordenone, che significheranno anche, nei decenni, cene con lui e la signora Lina fitte di parole, alternate od unificate a quelle altrettanto indimenticabili nella loro prodigalità di insegnamento, con Morando Morandini.
Presenze, entrambe, peraltro divenute essenziali, già prima di Pordenone che decolla solo nell'82, nelle vicende, dal finire degli anni Settanta, della giuria dell'alessandrino Premio “Adelio Ferrero”. Vorrei almeno rivelarne un piccolo segreto “professionale” tradendolo a trentacinque anni di distanza: l'alessandrino Massimo Alutto (unico indigeno vincente da allora fino al Riccardo Bellini di quest'anno...) deve il suo affermarsi nell'edizione 1980 - con un peraltro signor saggio su Apocalypse Now di Coppola che ancor oggi s'imporrebbe alla lettura - proprio all'insistenza, anzi all'accanimento convinto col quale Rondolino lo difese e lo impose rispetto ad altri concorrenti.
Rubo all'amico Lorenzo Pellizzari le parole più utili a descrivere pur sinteticamente la sua attività: «Espressione come pochi della torinesità sin dai tempi dell'Università quando nel 1959 crea e dirige la rivista Centrofilm (suoi un McLaren, 1959, e un Aleksandrov, 1960), il miglior e più duraturo esempio di pubblicazioni del genere. Senza soluzioni di continuità, da brillante studente a docente, sino alla cattedra di storia e critica del cinema con la quale pare identificarsi. Ma non è accademica la sua Storia del cinema d'animazione (Einaudi, 1974, nuova ed. 2004) che ne mette acutamente in luce le lontane origini, critica fortemente la produzione Disney e predilige le opere meno commerciali e più sperimentali. E non certo manualistica è la sua Storia del cinema (UTET) che dal 1977 è punto di riferimento per tutti gli studenti. Curatore del curioso Catalogo del cinema italiano 1945-1980 (Bolaffi, 1976-1980), lo si ricorda per un meritorio Vittorio Cottafavi: cinema e TV (Cappelli, 1980), per due appassionati omaggi al muto (Torino come Hollywood 1896-1916, Cappelli, 1980, e I giorni di Cabiria, Lindau, 1993). per due importanti sebbene talora reticenti biografie critiche (Visconti, UTET, 1980, e Roberto Rossellini, UTET, 1989), nonché come critico di La Stampa. Ancora maggior rilievo acquista fondando nel 1981, con Ansano Giannarelli, il Festival Cinema Giovani, diventato poi Torino Film Festival, che ancora una volta conferisce alla sua capitale subalpina una centralità nazionale, ma il suo sogno non viene compreso sino in fondo dalle istituzioni che nel 2006 lo costringono, non senza duri scontri, a lasciare anche la presidenza della relativa associazione (a favore del più “spendibile” Nanni Moretti)». Ci si può limitare a dire che quegli sgradevoli eventi non furono un'attestazione adamantina dell'esistenza della Gratitudine...
Insomma, per tirare le somme, indipendentemente dal suo ruolo pionieristico (sulla scia dei Chiarini degli Aristarco e dei Verdone) nella pur tardiva e misconosciuta affermazione degli insegnamenti universitari attinenti al cinema, la cosa più importante è riconoscere e affermare che Gianni Rondolino maestro lo è stato anche prima: non soltanto di studi e di cultura, ma anche, per parafrasare un'affermazione fondamentale del “suo” Rossellini, riguardo al mestiere più importante, rispetto tanto di quello di regista che di critico: quello di saper essere autentici uomini, capaci cioé di stare al mondo umanamente.