Claudia Cardinale, antidiva dal carattere dolce e di ferro

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Una vita a schiena diritta, tra Tunisia, Italia, Hollywood e la Francia. Un'antidiva dal carattere dolce e di ferro. Così era Claudia Cardinale, anzi Claude Joséphine Rose Cardinale, nata a Tunisi il 15 aprile 1938 e scomparsa a Nemours questo 23 settembre, dopo una lunga malattia.

Dopo la generazione dell'immediato dopoguerra che aveva in Sophia Loren e Gina Lollobrigida le incontrastate regine erotiche del cinema italiano esposto al mondo, coi Sessanta cominciavano ad affacciarsi a Cinecittà volti e corpi più nervosi, ombrosi, inquieti, di cui la curvilinea e snella Claudia rappresentava appieno il passaggio. Più moderno, più autonomo, solo apparentemente più remissivo, in realtà più libero e consapevole.

E se la Francia aveva B.B. noi le abbiamo contrapposto pochi anni più tardi C.C. (ah, tanto per far chiarezza: non ci fu mai rivalità tra  le due nonostante la stampa ce la mettesse tutta a inzigare). Come raccontava Claudia: “quando feci il film con la Bardot, Le pistolere, nel 1972, scrissero un mucchio di frottole, come se ci odiassimo. Invece ero l'unica che prendeva Brigitte sul cavallo e andavamo a fare una passeggiata, a chiacchierare da amiche...

Figlia di siciliani emigrati in Africa settentrionale, da piccola aveva tutto meno che il cinema per la testa (anche se René Vautier utilizzò un suo primo piano per il premiato a Berlino Les anneaux d'or, 1956); si trovò al centro dell'attenzione di Cinecittà quando vinse un concorso come “la più bella italiana di Tunisia”. Il premio consisteva in una ospitata a Venezia durante la Mostra. La carnagione olivastra, un sorriso che quando si apriva scaldava i cuori e soprattutto il suo sguardo di fuoco fecero il resto. Spiccicava l'italiano appena appena (a casa parlavano francese) e una brutta storia (uno stupro con successivo figlio) la fece rientrare a Tunisi mentre studiava recitazione all'Accademia, ma solo per poco. Cioè sino a quando il produttore e pigmalione Franco Cristaldi non la volle “plasmare” con tanto di contratto ferreo di sette anni.

Così, la ragazza solo fotogenica fu imposta sui set, in una progressiva scalata all'interno dell'esuberante, pettegolo e vorticoso neo impero di Cinecittà, diventando prima una star e solo poi una vera (e grande) attrice, imparando bene l'italiano (la caparbietà e l'impegno non le sono mai mancati) e smettendo piuttosto presto di farsi doppiare.

Sono solo una donna con una certa sensibilità: è con quella che ho sempre lavorato. Mi sono accostata ai personaggi con grande umiltà: cercando di viverli dal di dentro, usando me stessa, e senza far ricorso a nessun tipo di tecnica”. Ma fu più che sufficiente, anzi. Il gotha del cinema italiano si invaghì della sua fotogenia così come il pubblico del suo fascino tenero, e lei fece in fretta a svezzarsi. Dopo Monicelli, arrivarono Zampa, Germi, Loy, Bolognini, Zurlini, sino all'en-plein del 1963, co-protagonista ne Il gattopardo con Burt Lancaster e Alain Delon  (“siamo due fratelli, entrambi figli di Luchino Visconti. Ora quel ballo è finito”) e apparizione di sogno in di Fellini (per la prima volta non doppiata, appunto).

Passo successivo della nuova fidanzata d'Italia, Hollywood. David Niven sul set de La Pantera rosa di Blake Edwards la definì “la più bella invenzione italiana dopo gli spaghetti”. Infatti piacque molto anche aldilà dell'Atlantico (e Cristaldi ingelosito volò a sposarla nel 1966). Riservata e cordiale, diventò amicissima di tanti, tra cui Rock Hudson, conosciuto sul set de L'affare Blindfold, 1965, di Philip Dunne, e legò il suo volto almeno a un capolavoro, I professionisti di Richard Brooks (1966), in cui ritrovò Burt Lancaster, un western radical che le tirò fuori anche un aspetto del carattere sino allora forse poco notato, una dolcezza che non le impediva però di intraprendere strade persino dolorose, in nome della propria autonomia e libertà.

Il western l'aspettava anche in Italia: venne C'era una volta il West, 1968, uno dei vertici della sua recitazione, e poi, saltando in velocità altre luminose tappe fatte di performance convincenti (Nell'anno del Signore, 1969, di Magni, Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata, 1971, di Zampa), l'incontro che le trasformò la vita, quello con Pasquale Squitieri sul set de I guappi: una svolta che la portò, tra qualche tribolazione post separazione da Cristaldi, a Parigi, a una seconda maternità, una progressiva maturità e a una carriera più meditata e variegata. Oltre ai film col compagno, tanto cinema francese, Tv – La storia di Comencini, 1986 - documentari, teatro, più  qualche preziosissima gemma (Fitzcarraldo, 1982, Enrico IV, 1984).

Il cinema italiano non si è peraltro mai dimenticato di lei: tra i numerosi premi, il Leone d'oro alla carriera nel 1993, un David speciale 1997, un Nastro d'argento europeo nel 2000, più ulteriori riconoscimenti universali a Mosca, Berlino, Locarno e tantissimi altri festival. Extra schermo, la ricordiamo progressista, da sempre impegnata in battaglie per le libertà civili, l'ecologia, contro la violenza sulle donne, con una Fondazione a suo nome per sostenere e finanziare giovani artisti di tutto il mondo. Insomma, il rapido resoconto di una guerra vittoriosa durata quasi tutta la vita, per liberarsi, non senza dolore, dai cliché in cui la sua bellezza e una cultura machista avevano provato invano a ingabbiarla.