Che il teen-horror americano sia un genere sessuofobo - rispecchiando il rapporto contraddittorio che la società americana ha col corpo - non é una novità. Il canovaccio tende a ripetersi, con la giovane coppia che, in riva al lago o appartata in un bosco oppure nella stanza dei genitori assenti, fa l’amore poco prima di essere trucidata dall'assassino di turno. Da quel momento il sesso viene bandito per il resto del film.
In piena età postmoderna, dove molti hanno mischiato i codici, smascherandone i meccanismi – in questo senso rimane paradigmatico, per l'ironico smembramento del modello, Scream 4 (2011) di Wes Craven -, dopo un primo momento di esaltazione collettiva, in cui il gioco combinatorio sembrava non dover finire mai, é sopraggiunta una certa stanchezza a indagare il genere (divenuto genere a sua volta), riducendo l'immaginario che lo alimentava a un pianetino asfittico e moribondo.
Per questo It Follows di David Robert Mitchell risulta sorprendente e straordinariamente affascinante.
All’alba un’adolescente in mutandine e canottiera e con un paio di tacchi rossi vertiginosi corre in strada terrorizzata, guardandosi attorno. Il padre la chiama, chiedendole che cosa stia succedendo, senza ottenere risposta. Dal canto suo la ragazza rientra in casa solo per prendere la borsetta e scappa via in macchina, fino a raggiungere il mare, in attesa. L’inquadratura successiva è eloquente: sulla battigia giace il suo corpo spezzato, quasi fosse una bambola rotta.
Nell’immagine del corpo in pezzi c’è già tutto il film: l’età inquieta, gli anni di passaggio dall’infanzia alla maturità, in cui accanto ad atteggiamenti ancora bambineschi, se ne riconoscono altri più adulti. Le scarpe da donna, seducenti, indossate da una ragazza che nel fisico ha ancora forme pubescenti. La scoperta della sessualità, rientra a pieno titolo in questo momento di passaggio, anzi, in un certo senso, è il passaggio.
Il film prosegue, in un crescendo di suspense, concentrandosi sulle vicende di un’altra adolescente che, dopo essere uscita un paio di volte con un coetaneo, fa l’amore con lui. Il ragazzo le confida immediatamente che “gliel’ha passata”, quasi fosse il fantasma di qualche malattia contagiosa, o il gioco che ancor oggi fanno i bambini rincorrendosi, toccando sulla spalla un compagno e gridando “tua” (senza saper bene che cosa voglia dire), costringendo l’amico a proseguire il gioco, battendo la spalla di un altro bambino. La giovane rimane stordita fino a che non vede la figura di una donna nuda, una specie di zombie, che si avvicina ai due camminando, ma con sguardo minaccioso. Da quel momento, per liberarsi della presenza che segue (it follows, appunto) e, se raggiunge la vittima, la uccide, la ragazza dovrà “passarla” a qualcun altro, sperando che questi non venga a sua volta ammazzato, sennò la presenza tornerà da lei.
Qui sta uno dei punti di svolta rispetto agli horror precedenti: il sesso, che ha portato il contagio, non deve essere bandito, come succedeva in passato, ma utilizzato per liberarsene. Le figure che perseguitano gli adolescenti hanno le sembianze di persone a loro care (la madre, il padre, un fidanzatino del liceo) ma risultano altre per un dettaglio osceno nel loro portamento (la nudità esibita, le mestruazioni, le urine: tutto ciò che normalmente sta, appunto, fuori scena). Gli amici della protagonista, se ancora illibati, non riescono a vedere le presenze, ma solo il disagio della giovane.
La presenza che ossessivamente si ripresenta, terrorizzando i ragazzi, altri non è che una forma di unheimlich, ossia qualcosa di familiare che improvvisamente risulta sconosciuto e quindi spaventoso. La domanda da porsi, a questo punto, è: perché gli adulti, che pure hanno una vita intima, sono immuni al contagio? Perché dalla loro hanno la pratica che smitizza la sessualità: non sono alle prime esperienze, non c’è più novità o scoperta e dunque nemmeno la tensione delle “prime volte”, poiché è diventata una pratica comune. Per questo l’unico modo per liberarsi delle presenze è continuare a fare l’amore e non smettere di farlo.
A supporto di ciò, la magistrale capacità di Mitchell di creare un’atmosfera che rimanda al cinema di John Carpenter e Wes Craven, fino ai capolavori di Jacques Tourneur – da I Walked With A Zombie (Ho camminato con uno zombie, 1943) a Cat People (Il bacio della pantera, 1942), apertamente citato nella scena della piscina.
Quello che perseguita dunque i protagonisti è l’angoscia del mutamento, la paura di affrontare una realtà che è cambiata sotto i loro occhi senza nemmeno il tempo necessario per rendersene conto – sia per l’impazienza di fare nuove esperienze e diventare grandi, sia per il caos che il corpo e le sue pulsioni porta sempre con sé. Nel momento in cui la nuova fase della loro esistenza verrà finalmente accettata con consapevolezza e senza strappi, ridimensionando le aspettative, le presenza spariranno, ma con esse, forse, anche la freschezza e l’entusiasmo.