All'inizio fu un progetto di documentario sulla Torre Lugano, discusso grattacielo a Benidorm, il più alto edificio residenziale in Spagna. Dopo che le fu impedito di narrare la sua storia (anche con minacce), Isabel Coixet dovette rinunciare, ma solo per riproporlo adesso in forma di fiction che ha la sua anteprima italiana al Torino Film Festival, fuori concorso (in patria è stato candidato ai Goya per la regia e il direttore di produzione, mentre il direttore della fotografia, Jean-Claude Larrieu, ha vinto il premio assegnato dal Circolo della sceneggiatori).
Dopo essere stato assai poco elegantemente prepensionato dalla spietata banca in cui ha vissuto tutta la sua carriera, Peter Riordan, maturo e insignificante ordinary man di Manchester che ha fatto dell'abitudine il protocollo della sua esistenza (persino quando fa la colazione impila i biscotti sempre nella stessa maniera) e della meteorologia il suo unico hobby (“un modo per sentire che sta succedendo qualcosa. C'è sempre una promessa”) decide di andare a trovare finalmente il fratello che vive e lavora a Benidorm, sulla Costa Blanca, località balneare vicino ad Alicante, una delle tante che la speculazione edilizia ha trasformato in un gigantesco divertimentificio da quel delizioso borgo di pescatori che era.
Lo attendono parecchie sorprese. La prima è che il fratello, faccendiere intrallazzone (come scopriremo) e proprietario di un club (il Benidorm) è scomparso da almeno tre giorni, la seconda che la sua socia è una affascinante e non più giovanissima entertainers-spogliarellista (si esibisce accompagnata da E se domani di Mina) che non si capisce bene che cosa ne sappia e che rapporti avesse con lui.
Mentre lui denuncia la scomparsa alla polizia, tra l'ingenuo e metodico Peter e la enigmatica Alex («Non voglio parlare della mia vita, mi è bastato viverla») si stabilisce un curioso rapporto prima di simpatia, poi di affetto nato da una sorta di rispetto e attenzione reciproca.
Tra poliziesco, sentimental story, denuncia del degrado morale di un luogo che sembra aver smarrito la sua anima assieme alla sua identità, Isabel Coixet (in Italia conosciuta anche per altre sue regie, da Le cose che non ti ho mai detto a La vita segreta delle parole e Elisa e Marcela) sviluppa tutti i piani con molta eleganza, evitando di dare spiegazioni esplicite e conclusioni – ma i troppi finali qualcosa fanno intravedere - ricamando in più su un aneddoto che sembra averla colpita personalmente, ovvero la presenza lì in una estate del 1956 della poetessa Sylvia Plath. Insomma, un po' più di piglio e di coraggio avrebbero sicuramente giovato; fortunatamente, a far pendere la bilancia sul quasi bello, provvede la presenza di due superbi e caratterizzati attori mai meno che intensi, lo smagrito Timothy Spall e l'anglo-indiana Sarita Choudhury. Produce il film El Deseo, la factory di Pedro Almodovar.