Pappi Corsicato torna al cinema di fiction da cui si era assentato da una decina d'anni, precisamente da Il volto di un'altra (2012). Nel frattempo ha spaziato tra tv (Vivi e lascia vivere, 2020), cortometraggi e soprattutto una vasta e pregevole produzione di documentari d'arte che hanno avuto grande eco internazionale (tra cui citiamo almeno un omaggio al pubblicitario Armando Testa nel 2009 e L'arte viva di Julian Schnabel nel 2017).
Presentato fuori concorso al Torino Film Festival, Perfetta illusione combina le sue passioni, il mélo più colorato e il mondo dell'arte.
Toni fa l'inserviente in una spa-palestra a Milano, mentre la moglie Paola è una commessa con ambizioni. Al momento è costretto a relegare in cantina i suoi quadri di pittore dilettante nel nome della “vita normale”, quando un increscioso incidente darà una improvvisa svolta al suo destino. Si fa banalmente licenziare per una idiozia, ma proprio la responsabile di quello che potrebbe generare un dramma, la giovane, ricca, brillante e molto meneghina Chiara, per farsi perdonare lo introduce nel mondo dell'arte e, scoprendo la sua smania artistica, lo vorrebbe anche lanciare. Corollari di questa improvvisa svolta del destino: nasconde ogni cosa alla moglie e cede alla corte della signorina bene, dando la stura a un a cascata di progressive menzogne, complicazioni, colpi di scena, drammi, rivelazioni, vendette e rese dei conti. Come scandisce la voce fuori campo all'inizio: “inseguire i propri sogni è come giocare d'azzardo”.
La sceneggiatura di Pappi Corsicato e Luca Infascelli è molto ben congegnata, si capisce che il regista napoletano ha masticato e digerito i grandi del mélo, da Sirk ad Almodóvar (con cui ha collaborato). Come un meccanismo implacabile, la storia avvolge e imprigiona i tre giovani protagonisti in un gomitolo in cui nessuno è innocente e le “sliding doors” del caso avvieranno i destini di tutti a “sporcarsi”. Comunque, meglio certamente la loro acerba voglia di affermazione senza rete (e sono molto convincenti i tre giovani attori: Giuseppe Maggio, Carolina Sala, Margherita Vicario) che non il cinismo stanco e snob dei due genitori di Chiara, tratteggiati con consumato senso dei tempi da Sandra Ceccarelli e Maurizio Donadoni.
La fotografia di Rocco Marra descrive e attraversa Milano come un teatro perfetto in cui la modernità va troppo veloce, sorpassando sempre ogni tentativo di formazione morale dell'individuo. Non c'è tempo per dubbi e riflessioni, ogni occasione è una mela che va morsa di corsa. Oltretutto, se la trama tocca alcune delle neo “cattedrali” dell'arte della metropoli, tra cui l'Hangar Pirelli Bicocca mentre ospitava una mostra di Maurizio Cattelan, Corsicato possiede il buon gusto, anzi la sagacia, di non mostrarci le opere dell'entusiasta e disarmato Toni, facendo parlare e disquisire su di esse, galleriste, critici, esperti, mostrando anche in questo modo il lato un po' meschino e calcolatore che sovrasta questo mondo apprentemente così elevato e separato della creatività artistica.
Insomma, se dobbiamo definirla una “rentrée”, diciamo che è di assoluto godimento e ci conforta sulle qualità di un autore che tra i '90 e il 2000 (con Libera, I buchi neri, Chimera) sembrava essere uno dei nomi più promettenti del nostro cinema (giovane) di allora e poi (misteriosamente) quasi defilatosi.