Ricostruire. Questo lo scopo a cui mira Alex Gibney.
Da sempre il suo cinema si focalizza sui segreti, sui fatti occultati, su personaggi misteriosi e irraggiungibili. Attraverso il suo team di collaboratori, Gibney ha lavorato sul documentario riuscendo a fare dell’ottimo cinema d’inchiesta mascherato da film d’autore, una chiava narrativa sperimentale e unica che nel tempo si è sempre più consolidata.
Ora però, il regista statunitense cambia leggermente rotta. Invece che svelare i fatti, cerca, appunto, di ricostruirli. Citizen K è la sua operazione più insolita, forse perché la più riconducibile ai canoni classici di questa particolare forma di narrazione. Lo dichiara sin dai primi minuti, quando presenta le pedine del suo “thriller” con dei credits degni dei migliori film di spionaggio internazionale. Il pubblico deve conoscere le dinamiche geopolitiche della storia, deve sapere chi sono gli attori in gioco e comprendere dal principio la posizione (imparziale) del narratore. Successivamente, inizia il racconto, la ricostruzione. Fatti, testimoni, interviste, dati, ricorrenze, immagini di repertorio: tutto viene sbobinato dal film per cercare di divulgare nella maniera più chiara e limpida possibile la (propria) verità.
Lontano dalla frode sportiva di Armstrong, lontano dagli abusi sessuali del clero, lontano dalle insidie nascosto dietro Scientology o dalla minaccia dell’informatica, questa volta la macchina da presa del regista si posa sulla Russia contemporanea, in particolare sugli accordi di potere che guidano il Paese e sulla violenta e severa conduzione del presidente Putin.
Gibney getta i panni del detective e indossa quelli del giornalista. La materia trattata è così abbondante e complessa da rendere difficile la visione senza una sorta di guida.
In anni in cui il cinema di stampo storico sta effettivamente esaltando l’operazione di riordino della Storia (The Post, lo stesso L’ufficiale e la spia), forse perché spinto dalla necessità di fare fronte alla voracità dell’informazione contemporanea, il lavoro di Gibney preferisce aderire alla causa e dare forma lineare e ordinata ai fatti, senza dover necessariamente riportare a galla misteri sepolti sotto strati di polvere.
Che si tratti di un’informazione, una serie di avvenimenti, una catena di contatti, un’intervista andata perduta, una sequenza cinematografica sino ad arrivare a un intero Paese, la ricostruzione esibita in Citizen K è il valore aggiunto di un prodotto intenso, compatto nel suo procedere e scarno nella forma quasi da apparire minimalista.
Non c’è nulla di più importante del suo messaggio, dell’oggetto della sua ricerca. Si fa sul serio in Citizen K, e il cinema, almeno per questa volta, deve semplicemente testimoniare.