Si apre e si chiude con un aereo in volo No. 7 Cherry Lane, a simboleggiare quel sentimento di fuga, evasione e libertà che viene costantemente ricercato e nutrito dai protagonisti del racconto. Siamo a Hong Kong, sul finire degli anni Sessanta, un periodo di grandi mutamenti per la città e tensioni sociali pronte a esplodere. Lo scontro generazionale e l’incompatibilità tra il passato e il futuro vengono vissute in prima persona da un giovane studente universitario che finisce al centro di un triangolo amoroso con una sua coetanea e la madre di questa. Senza temere di risultare morboso, il film segue con estenuante lentezza lo scorrere degli avvenimenti per cercare di restituire sullo schermo il procedere del tempo. Proprio questa dimensione diventa il perno sul quale ruota l’intera opera assumendo i tratti di un’elegia sospesa e prolissa in cui ingabbiare i protagonisti per non farli scappar via, per non far prendere loro il volo.
Così, in una città superficialmente colorata, armonica, splendente e abbagliante, si consumano le tragedie esistenziali di tre solitudini incapaci di trovare una serenità prima di tutto con se stessi e, successivamente, anche con chi li circonda. Tutto è finto, tutto è impalpabile e indefinito, tanto che al cinismo di un risultato certo e tangibile si preferisce l’astrattismo di una sfida a tennis giocata senza pallina. Yonfan firma un omaggio sincero e appassionato a una città, un Paese e una cultura umanistica (da Antonioni a Proust sono numerose le opere e gli autori citati più o meno direttamente) che ha avuto il merito di far sognare le generazioni precedenti, senza essere stata però capace di condurre verso un cambiamento prolifico quelle successive. Il sogno diventa quindi un incubo e lo splendore si fa ben presto riflesso di una vacuità emotiva da non trascurare.
Provando a restituire il tutto attraverso uno stile spiazzante e barocco (il film è stato concepito in 3D per poi essere scalato alle due dimensioni grazie al lavoro di circa sessanta artisti), No. 7 Cherry Lane si guarda troppo allo specchio e si lascia acciecare dal suo stesso splendore. La musica, la simbologia, i ralenti, la voce fuoricampo o le trovate più bizzarre e originali che qua e là prendono forma, sono frutto di una ricerca estetica eccessiva e fuori scala rispetto alle dimensioni più intime e minimaliste che vengono raccontate. Il rischio diventa quindi quello di voler salire il prima possibile su quell’aereo, invece che addentrarsi ulteriormente nei meandri della città per scoprire un altro indirizzo, un’altra storia, un’altra dimensione. Peccato.