Tutto ha inizio con un rituale. Un villaggio di pescatori, su un’isola immaginaria dal paesaggio desertico, è solito sottoporsi a una dura tradizione: ogni famiglia deve offrire la propria primogenita al mare e alle creature che lo abitano. Quando è il turno della neonata Hayat, però, il padre non ha la forza o il coraggio di affogarla: da un lato le nega quel mare che le aspettava per destino, dall’altro le concede una speranza, un’alternativa e una via di fuga autonoma, individuale. Dodici anni dopo, vittima delle conseguenze del gesto paterno, Hayat è una ragazza emarginata e considerata una maledizione da tutto il villaggio, senza poter mai abbandonare la speranza e la ricerca in un’alternativa, in un’altra possibilità.
Sayidat Al Bahr - Scales, esordio della regista saudita Shahad Ameen (girato in Oman e finanziato con capitali stranieri e non sauditi), è un sorprendente, piccolo film: un racconto fantastico abitato da oscure tradizioni, avventure in mare, credenze popolari, creature marine e metamorfosi. Il tutto messo in scena con una fotografia in bianco e nero costruita da forti contrasti (il nero abbandono all’oscurità della notte e l’assoluta grigia solitudine del giorno) e una regia che contempla silenziosamente i luoghi (i vasti mari e le scogliere) e i personaggi (i singoli gesti, i volti e gli sguardi).
La questione rituale è il centro narrativo che si fa specchio di una riflessione sulla società e sul rapporto tra comunità e individuo. Il villaggio di pescatori è istituito da un’organizzazione patriarcale: sono presenti solo uomini durante i riti sacrificali e solo gli uomini possono pescare le creature marine, mentre le donne sono segregare dietro un filo spinato che le divide da quel luogo, esclusivo per il maschio, di potere, lavoro e autorità. Questo non è l’unico confine. C’è il mare. Un’altra sottile linea che divide due mondi. Quello terreno e quello marino. Realtà in equilibrio tra scambi di sacrifici reciproci.
I due confini ritornano nella protagonista attraverso una lotta esteriore e interiore. Esteriore perché all’emarginata Hayat non è concesso pescare, contribuire alla vita del villaggio o semplicemente vivere una vita normale, e interiore perché la ragazza è sia respinta sia attirata dal mare.
Attraverso il suo destino già scritto eppure ancora da scrivere, Sayidat Al Bahr - Scales costruisce una riflessione sulle convinzioni e sulle usanze di qualsiasi società. Al tempo stesso, però, è profondamente radicato nel mondo arabo dal quale Shahad Ameen proviene, mossa dalla voglia di superare i tabù e i rituali di un mondo che costringe – simbolicamente e no – a mangiare i propri figli.