Monte Gelato si trova a cinquanta chilometri da Roma. È un tratto del parco sul fiume Treja caratterizzato da dolci cascate e una torre medievale, un mulino ad acqua e i resti di una villa romana. Anche se non ci siamo mai stati, ci appare assai familiare grazie ai 180 film italiani che lo hanno utilizzato come location dagli anni Cinquanta ad oggi. Il suo fascino esotico è stato particolarmente sfruttato dal cinema di genere – cappa e spada, peplum, fantascienza e spaghetti western – ma anche un grande autore è passato di lì, e con il suo film più bello: Adriana, la giovane interpretata da Stefania Sandrelli in Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965) trascorre l’ultima notte della sua vita sotto queste acque scrocianti, ennesima illusione di bellezza.
L’omonimo film in VR di Davide Rapp dipana la matassa di immagini che si è avviluppata attorno a questo luogo nei decenni. Le cascate sullo sfondo delle scene più diverse ci accompagnano in un viaggio nel tempo, dal paradiso terrestre al villaggio indiano, dalla Gerusalemme liberata all’isola del tesoro, dal medioevo fantozziano all’Afrika erotika. Ma più che sull’esperienza di un paesaggio continuamente riscritto e derealizzato dal cinema, Montegelato lavora con intelligenza sullo spazio dell’immagine filmica trasformandolo progressivamente in quello dell’esperienza VR. In questo senso, e non solo per la sua cinefilia quasi collezionistica, Montegelato è un’opera di transizione fra cinema e realtà virtuale, un prodotto che sembra voler vincere le resistenze di chi contrappone il calore e la magia della sala al miraggio di uno spettacolo totale.
Il confronto fra i media creato dall’opera ha tuttavia esiti sorprendenti: tenendo l’occhio fermo sulle cascate mentre tutto intorno cambia, scopriamo che in fondo il mezzo virtualizzante è il cinema con la sua capacità di trasformare uno specifico luogo in ogni luogo possibile; la realtà virtuale che, durante i titoli di coda, ci porta finalmente dentro il “vero” paesaggio di Monte Gelato, può rappresentarne invece solo una precisa attualizzazione, la simulazione perfetta del suo apparire singolare nel segmento spazio-temporale che costituisce il nostro presente.
Che cosa significa allora guardare il cinema attraverso un casco VR? Montegelato è innanzitutto un’esperienza a tre gradi di libertà (3DOF), cioè che prevede un utente fisso al centro del film, di solito seduto/a su una poltrona girevole che gli/le consente di accedere a un campo visivo a 360°. Non c’è, o meglio non sembra esserci, una superficie di proiezione diversa dal cilindro d’aria che ci circonda: le figure possono apparire anche a pochi centimetri dal nostro corpo, e questa è l’“immersione” a cui di solito si allude. Il cinema narrativo l’ha sempre simulata attraverso il montaggio, recuperando le diverse forme di fuori campo nel découpage, mentre la realtà virtuale non ne ha bisogno, perché in essa è il corpo, e non soltanto l’occhio, a collocarsi dentro l’immagine. Montegelato lavora su questa differenza disponendo i frammenti dello spazio rappresentato linearmente entro un campo visivo sferico creato da raccordi fra film diversi, nella tradizione del film di montaggio alla Grifi.
Si parte da un’ampia inquadratura frontale di tutto il paesaggio a cui via via vengono sovrapposti altri frame, proporzionati al tableau di partenza in base al particolare che inquadrano. Come in tutto il cinema senza macchina da presa, anche in questo primo esperimento di found footage VR il montaggio è una forma di analisi delle immagini; la tridimensionalità ne agevola il confronto, si direbbe accrescendo le possibilità espressive del genere. Qui la scelta è sedimentare il materiale di repertorio, stratificare un’immagine sull’altra mantenendole tutte in trasparenza, o meglio in “sottoimpressione” (le nuove tecnologie richiedono nuovi linguaggi ...). Mentre il montaggio “verticale” mima il depositarsi degli strati di memoria, il montaggio “circolare” ricostruisce l’ambiente attorno a noi attraverso inquadrature-schermo che scivolano davanti agli occhi e vanno ad occupare la giusta posizione. Il buio che all’inizio ci avvolge si accende progressivamente, mentre acquisiamo il senso della nostra posizione: sotto di noi c’è l’acqua del lago, e lo scopriamo con l’emersione del cadavere di una ragazza (la vittima di Quella sporca storia nel west, Enzo Castellari, 1967). A questo punto siamo nel film, cioè ovunque tranne che a Monte Gelato.
Montegelato è stato al Festival del cinema di Venezia nel 2021 e al Trieste Film Festival. Sarà prossimamente al Bremen Filmfest e all'Atlanta Film Festival. È inoltre visibile a Parigi tutti i sabati fino a giugno al Forum des images nell'ambito della rassegna Les samedis de la VR.
MONTEGELATO (Davide Rapp, Produzione -orama, Italia 2021 / 28', 360° (3DOF), Oculus Quest 1 e 2).