Come può un classico della storia del cinema essere riadattato in VR? E come può un’esperienza proveniente da un contesto culturale lontano nel tempo riflettere su ciò che viviamo oggi in rapporto ai nuovi media immersivi? Sono domande che ci poniamo a partire da un cortometraggio come Cesare’s Dream. In the Cabinet of Dr. Caligari, che traspone in un ambiente virtuale l’universo e le tematiche del capolavoro espressionista di Robert Wiene a cent’anni dalla sua realizzazione. Das Cabinet des Dr. Caligari è stato il capostipite di ogni riflessione cinematografica sull’indecidibilità tra sogno e veglia, allucinazione e realtà.
Non è in fondo questa la paura fondamentale che accompagna anche la nostra relazione con la VR, celebrata da svariate narrazioni distopiche? Isolato dal mondo circostante, chi indossa il visore non può fuggire dall’immagine a 360° che lo avvolge: per quanto irrealistica quest’ultima possa apparire, per quel breve lasso di tempo costituirà l’unico orizzonte possibile della sua esperienza. Il mito dell’indecidibilità raccontato dal Caligari costituisce però l’espressione di un diverso orizzonte storico e culturale: quello tardo ottocentesco che vede la canonizzazione dell’ipnosi in ambito medico (da parte di influenti neurologi come Jean-Martin Charcot e Hippolyte Bernheim) insieme all’imporsi nell’immaginario collettivo della figura del sonnambulo, il soggetto mesmerizzato che, catturato in un mondo di sogno, esegue incosciente i comandi provenienti dall’ipnotista. Nel 1920 le figure archetipiche del sonnambulo Cesare (l’indimenticabile Conrad Veidt) e del suo nefasto padrone, il Dr. Caligari (Werner Krauss), riflettevano angosce relative all’influenza invisibile e distanziata dei nascenti mass-media, insieme al venir meno di un punto di vista stabile sul reale (il capovolgimento di prospettiva del finale sarà antesignano di puzzle-movie come Il sesto senso di Shyamalan o Shutter Island di Scorsese); che cosa raccontano invece oggi, riapparendo in uno spazio virtuale e immersivo?
La breve esperienza di Cesare’s Dream rappresenta una forma elementare di narrazione in VR: esclusivamente audiovisiva, non permette nessun intervento da parte dell’utente. Altrettanto essenziale è ciò che conserva della trama originale, da cui elimina omicidi, investigazioni, amori e persino ogni protagonista della vicenda (Francis, Jane) con l’unica eccezione dell’ipnotista e dell’ipnotizzato, interpretati da Arkadius Jakubik e Jakub Gierszał, la cui performance è tradotta in animazione CGI da un sistema analogo alla motion capture. Non meno, l’esperienza si rivela estremamente raffinata dal punto di vista dei contenuti, a partire dalla complessità citazionistica con cui organizza lo spazio virtuale, in cui le architetture sghembe di stampo espressionista del film d’ispirazione si combinano con gli elementi di un set cinematografico: in ogni direzione appaiono riflettori, superfici di proiezione, persino un’insegna luminosa che fa da reclame all’opera di Wiene.
Nonostante la finezza di dettagli dell’ambiente circostante, la nostra attenzione è vincolata all’azione frontale che sembra prendere corpo in una quinta di teatro. Ed è teatrale anche la struttura in atti (che però replica, anche graficamente, quella del film di Wiene), staticamente incentrati su un dialogo esistenziale tra Cesare e Caligari, a partire da domande come “Sei sveglio?”, “Sei libero?”, “Che cos’è reale?”. La condizione del sonnambulo ruota infatti intorno a due illusioni: il pensarsi sveglio mentre sogna, e il sentirsi libero quando è controllato in ogni azione. Cesare, aprendo gli occhi, paragona cinema e sogno: “Cos’è un film, se non un sogno che prende vita?”, e rimanda all’universo cinematografico anche la proiezione con cui il contenuto onirico del sonnambulo prende forma su parete nel secondo atto. Eppure, questo connubio sogno-cinema sembra riflettere piuttosto le condizioni della nostra stessa esperienza immersiva (pur così elementare), intessuta da una continua negoziazione tra libertà e dipendenza. In primo luogo, indossando un casco VR assumiamo noi stessi la disposizione del sonnambulo, immersi in un mondo allucinatorio conoscibile agli altri solo per mezzo dei gesti con cui esploriamo orizzonti invisibili. Al contempo, ci è offerta una libertà d’azione sconosciuta ai media precedenti, anche solo a partire dal potere del nostro sguardo di fungere da unica fonte dell’angolo di visione. Il nuovo Caligari VR ci ricorda però come la nostra esperienza sia sempre in qualche modo predisposta e organizzata da un Altro (il fantomatico autore, che nel cinema VR è per giunta spesso di difficile identificazione?). Nell’immagine finale, questa entità si materializza nel primo piano gigante di Caligari stesso che, stagliandosi sulle quattro pareti virtuali che ci circondano, ci interpella sghignazzando per poi catturarci in una mano, con un trucco più emersivo che immersivo, comune al cinema delle origini. La sua sopravvivenza, cent’anni dopo, ci ricorda come neanche con le possibilità inaugurate dai nuovi media siamo diventati completamente padroni dei nostri sogni.
L’esperienza è disponibile su YouTube sul canale ARTE.tv Documentary.