Armando è un uomo di mezza età, silente e solitario, segnato nello sguardo da un trauma che non conosceremo mai. Ha un laboratorio di protesi dentali, oggetti vagamente disgustosi che perfeziona attentamente nel chiuso del suo negozio: un lavoro quasi autistico, una ricreazione manuale di un qualcosa di reale che sembra sempre sfuggirgli.
I rapporti affettivi sono ridotti ai minimi termini: una sorella in attesa di ricevere una bimba in adozione, un padre odiato che riappare dal nulla, qualche ragazzino da rimorchiare in strada. Armando ha soldi che spende con giovani abbordati con pochi e chiari gesti, che fa spogliare nel suo salotto pieno di piccole cose di cattivo gusto. Nessun contatto fisico: Armando si masturba davanti a un accenno di nudità, il massimo di intimità che riesce a concepire.
Uno di questi ragazzi, Elder, un giorno reagisce con violenza e lo deruba. Armando, che ha del denaro e di sé una considerazione basilare, utilitaristica, non si lascia intimidire e inizia a seguirlo. Improvvisamente si crea tra i due una sorta di complicità compressa: l’uomo maturo scopre l’affettività che trascende l’attrazione, il giovane riaffiora dal vuoto emotivo in cui lo ha lasciato il padre in galera. Ma forse non tutto è così sincero e naturale come appare: le ombre del passato non si diradano mai del tutto e dalla propria natura (e dal proprio destino) non si può trascendere.
Desde allá, opera prima del venezuelano Lorenzo Vigas, è un raggelato melodramma omosessuale che si dipana tra strade dissestate e appartamenti anomali di una Caracas impersonale e distante. Lo stile di Vigas è controllato, anche troppo, e si uniforma a una tendenza molto in voga nel cinema d'autore latinoamericano di questi anni: annulla la profondità di campo isolando tra sfocature i personaggi al centro dell'inquadratura; utilizza con sapienza il fuori campo; abolisce la musica di commento per amplificare il senso di vuoto, anche sonoro, dei protagonisti.
La prima parte del film, anche grazie all'impassibilità sofferta del protagonista Alfredo Castro – attore feticcio di Pablo Larraín – e alla nervosa fisicità del giovane Luis Silva, raffigura uno spaccato convincente di un mondo in cui la sola idea di affetto appare come utopica, irrealizzabile se non addirittura trasgressiva. Il racconto procede per ellissi, tenendo lo spettatore all’oscuro, o quasi, dei segreti che rabbuiano il cuore dei personaggi, e regalando dei momenti di improvvisa normalità, tra cui una festa da ballo destinata invece a scatenare lo stravolgimento degli eventi.
Nell’ultima parte però la scrittura prende il sopravvento – e forse la presenza in veste di produttore di Guillermo Arriaga non è stata indolore – rendendo la narrazione più meccanica e costruita, rinunciando alla limacciosa, credibile naturalezza in nome della ricerca del colpo di scena.
Vigas sembra a suo agio più nell’osservazione accurata – dovuta anche a un passato da documentarista – che nella costruzione della storia e Desde allá finisce per inciampare in un finale artificioso che comunque non cancella i lampi di consapevole talento intravisti nel film.