Adèle vive senza sosta, è alla ricerca continua di qualcosa: legge mangia beve fuma scopa senza pensare alle conseguenze. Adèle ha la bocca sempre semiaperta, in un atteggiamento vorace nei confronti del mondo: non ha paura di sporcarsi il muso, di sbattere la faccia contro qualcosa, di cedere allo stupore della novità. La sua vita è pura esperienza: così simile ai suoi coetanei ma anche così diversa, unica nelle timidezze e nelle sfrontatezze, nella sua golosità di libri musica e corpi. La vita di Adele è contemporaneamente un grande romanzo contemporaneo, un’educazione sentimentale (e sessuale, ché non fa alcuna differenza), una lezione di vita e di racconto. Abdellatif Kechiche, che è un feroce osservatore materialista della realtà - e che nel suo pessimismo di fondo non perde mai fiducia negli uomini e nelle donne che racconta - costruisce con Adèle uno dei personaggi indimenticabili del cinema di questi anni. L’irrequietezza adolescenziale diventa fame - letteralmente - di vita, di esperienza, di amore. Si mettono da parte i paternalismi borghesi e i languori tipici dei racconti di formazione: il suo film è un pezzo di vita che mette in scena senza filtri tremori e rossori, con il fiato che si spezza nell’amplesso e il moccio che cola in un pianto. Un film terreno e corporeo, senza infingimenti, che travolge e annega con una fluvialità narrativa (il film dura tre ore, ma ne potrebbe durare trenta) che ha la forza contundente del grande cinema.