But this dedication is for others to read:
These are private words addressed to you in public
T.S. Eliot, A Dedication to My Wife
Al contrario di una lettera, sempre rivolta a qualcuno, o di un intero carteggio, dal quale si possono intravedere umori e sfumature sentimentali che rimbalzano tra due persone anche senza essere dichiarati – la scelta di un aggettivo, la frase costruita con cortesia o diplomazia, oppure la dolcezza di certa punteggiatura, o al contrario il ritmo nervoso di una pagina che pare scritta di getto – un diario è sempre una questione privata. Anni fa ne vendevano addirittura col lucchetto, proprio perché di solito gli vengono consegnati pensieri e ricordi talmente intimi e privi di gentilezza da poter essere offensivi o scioccanti se letti da qualcuno vicino all’autore.
Perché si scrive un diario? I motivi possono essere molteplici. Lo si può fare per una questione di pratica quotidiana della scrittura, abitudine al gesto. Oppure per lasciare una traccia, qualora si cominciasse a perdersi, con la paura di non ritrovarsi più o non ritrovare più la persona lasciata qualche pagina prima. Per avere delle storie da raccontare, anche a sé stesso, e tenerle a mente. Poi per elaborare in tempo reale traumi risvegliati – in pratica per sfogarsi e poter vedere lo sfogo, nero su bianco, i suoi contenuti. Per ricordare e lottare contro la distrazione-dispersione, contro il tempo e la dimenticanza. Poi per avere in sé stessi un compagno, uno specchio… e così via.
E poi ci sono diari che vengono pubblicati, e quelle parole private vengono dette in pubblico, consegnate a persone che magari non hanno nulla a che fare con chi le ha scritte. Estranei. Talvolta, però, quelle parole risultano importanti anche per chi non è coinvolto nei fatti raccontati. Per empatia con le situazioni o l’autore, o solo per il semplice fatto di aver provato nel corso della propria vita gli stessi sentimenti, il diario di un altro può diventare il nostro.
È il caso del bellissimo Sobre tudo sobre nada di Dídio Pestana, presentato nel corso del Festival de Cine Europeo de Sevilla 2018 (e in precedenza nella sezione Signs of Life a Locarno). Sobre tudo sobre nada è un diario per immagini, girato in Super 8, formato che mantiene sempre un fascino nostalgico e struggente che solo le Polaroid, in fotografia, riescono a evocare. Dídio Pestana racconta otto anni della sua vita, i suoi viaggi, le amicizie, la famiglia, gli amori, la spiaggia dalla quale parte e dove ritorna, non lontano da Lisbona. Sono otto anni comuni e straordinari al tempo stesso. Comuni a moltissimi altri ragazzi che hanno lasciato la propria città, la propria famiglia, gli amici per cercare di farsi una vita altrove, per fare esperienza di luoghi e situazioni nuove, per incontrare nuovi amici, altre vite possibili. Straordinari perché ogni volta che un incontro, una perdita, una delusione o la gioia viene vissuta, anche brevemente, per chi la vive non può che essere un’esperienza eccezionale – in quel modo, con quella violenza o quella dolcezza accadrà solo quella volta, e poi accadrà ancora, ma sempre in maniera diversa.
Il padre riconosciuto della pratica diaristica per immagini è probabilmente Jonas Mekas, che ha scelto per uno degli innumerevoli film un titolo magnifico, As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty, che potrebbe benissimo essere la definizione più azzeccata per Sobre tudo sobre nada, disarmante nella sua semplicità, toccante nell’onestà con la quale il regista mostra la propria vita, senza alcun ricatto emotivo, senza nessuna furbizia per rendere la visione più accattivante. Soltanto la necessità di dedicare le immagini filmate alle persone che le abitano e che abitano la sua esistenza. Ma questa dedica, per l’importanza che ogni singolo incontro e ogni singola esperienza hanno avuto per Dídio Pestana, è filmata perché altri la vedano: sono immagini private indirizzate a tutti loro, in pubblico.