Questa sera alle 21:00 su Iris (canale 22), Matrix delle sorelle Wachowski, il primo film della trilogia. Su Cineforum 384 il pezzo, poco clemente, di Arturo Invernici e Andrea Frambosi.
Ogni tanto escono dei film rispetto ai quali ci si chiede se si possa ancora parlare di cinema. Anche per film di autori riconosciuti. Ricorderemo, per esempio, gli imbarazzi classificatori all'uscita di Prospero's Books (L'ultima tempesta) di Peter Greenaway. Qualcuno si chiese, allora, se quello fosse ancora cinema o fosse qualche cosa d'altro: grafica? animazione? arte? pittura? computer grafica? Insomma, per dirla col dizionario del Mereghetti: «Capolavoro o aria fritta?» Senza voler assolutamente riaprire il dibattito in merito al film di Greenaway - che per chi scrive, sia detto per inciso, non è aria fritta ... - , né tantomeno proporre accostamenti a dir poco azzardati, le stesse domande potremmo porcele per Matrix, il film dei fratelli Wachowski che ha infiammato i botteghini in questo scorcio di stagione.
Non ce ne voglia chi ha apprezzato l'opera seconda dei fratelli Wachowski (che a nostro parere surclassa, e di molto, il loro esordio di un paio di anni fa con Bound - Torbido inganno, confuso quanto stereotipato noir in salsa saffica), ma noi alla domanda di Mereghetti risponderemmo: Matrix è aria fritta. Per quanto riguarda, invece, la prima domanda (cinema o che altro?), sempre che ci si voglia addentrare nella spinosa questione senza far rivoltare nella tomba il povero Bazin - autore, lo ricordiamo, del fondamentale saggio «Che cos'è il cinema?» - potremmo rispondere che sì, nonostante sembri qualche cosa d'altro, Matrix è cinema. Cinema spettacolare come lo si fa oggi: con un occhio al popcorn e uno alle ultime novità nel campo dei videogiochi, oscillante tra il baracconesco del versante visivo e il tedioso di quello narrativo. Ma comunque cinema.
Va da sé che la storia conta poco o punto in questo genere di film. Nel caso di Matrix, ci troviamo davanti a un cocktail che utilizza, quale ingrediente di base, il principio dell'arcinota storiella cinese dell'imperatore che si sognava di essere una farfalla - ma che poteva essere la farfalla a sognare di essere l'imperatore -, shakerato in stile videogame e insaporito con elementi da «Alice nel paese delle meraviglie (il Bianconiglio), filosofie orientali assortite quanto pasticciate (Neo come una sorta di "kundun"?), un pizzico di cristologia (morte e "resurrezione per amore" di Neo) e uno di ambientalismo (la tirata dell'agente Smith sull'impatto ambientale della specie umana rispetto alle altre), suggestioni dall'epopea di Star Wars (Morpheus come Obi-Uan Kenobi) e dalle ambientazioni ridleyscottiane di Alien e Blade Runner, coreografie kung-fu secondo la tradizionale ricetta hongkonghese (curate, non a caso, dall'esperto Yuen Wo Ping) e teorie del complotto secondo la tradizionale ricetta americana (il programma Matrix come Pleasantville, o come la Seahaven di Truman Burbank), e quant'altro ancora. Insomma, un gran bel calderone di temi e luoghi comuni, a tratti confuso e a tratti di un semplicismo disarmante, che sta a nascondere niente altro che una tutto sommato elementarissima storiellina di belli, buoni e bravi salvatori del mondo contro tenaci, spietati, burocratici e spersonalizzati villain con gli occhiali scuri anche di notte.
Quello che conta invece, con un film come Matrix, è la messa in scena, che è affidata, per la quasi totalità, all'ingegno degli effetti speciali. Si sa ormai quasi tutto, infatti, sui lati tecnici della realizzazione: i duelli con gli attori sospesi nel vuoto (in realtà semplicemente sospesi a dei cavi) le sparatorie riprese a 12.000 fotogrammi al secondo in modo da avere, sullo schermo, una sorta di effetto stroboscopico, macchine da presa lanciate a velocità inaudite (fino a 150 km/h, pare, cosa che ha fatto stare non poco in apprensione i responsabili dell'assicurazione di Keanu Reeves) e via mirabolando. Va altrettanto da sé che il ritmo (almeno quello di alcune sequenze, come quella con Neo e compagni nascosti nell'intercapedine del muro, il salvataggio di Morpheus o il duello finale tra Neo e l'agente Smith) è adrenalinico e giocato esclusivamente sul dato visivo/sonoro volume di fuoco/volume della musica di accompagnamento e dei rumori degli spari, così come suggestiva e intrigante è la scomposizione del movimento, che a noi europei fa venire in mente gli esperimenti in tal senso dei futuristi, ma che i Wachowski dicono di aver tratto da quello stile noto come anime, tipico dell'animazione giapponese.
Matrix, in conclusione, è un film da prendere per quello che è, senza stare a sottilizzare troppo sul suo sostrato contenutistico-filosofico (la disumanità delle macchine e cose simili...), ma standosene comodamente in poltrona, col sopracitato cartoccio di popcorn saldamente in mano (che tanto, con gli effetti sonori del film, non si rischia di disturbare il vicino) e tanta voglia di divertirsi. Insomma, cinema limitatamente a come lo intendeva il buon vecchio Wittgenstein («Chewingum per la mente») e nulla più; qualcosa tuttavia di leggermente diverso, ancorché analogo, dallo stare davanti a un videogame di Lara Croft, peraltro tanto somigliante, treccia a parte, a Trinity, la protagonista femminile di Matrix.