Black Lives Matter, a condizione che siano celebri e riconoscibili.
One Night in Miami racconta una notte del febbraio del 1964, quando, dopo la vittoria che diede a Cassius Clay il titolo di campione mondiale dei massimi, quattro afroamericani di successo – oltre al pugile, Malcolm X, il crooner Sam Cooke e la star del football Jim Brown – si riuniscono in una stanza d'albergo e discutano di benessere e ricchezza, religione e celebrità. In ogni loro discorso, il convitato di pietra è l'uomo bianco: va avversato, combattuto, detestato, come vorrebbe l'intransigente Malcolm, o piuttosto accettato e sfruttato come possibile fonte di guadagno, mucca gravida da cui mungere dollari a palate, come vorrebbero gli altri tre, che hanno messo il proprio talento al servizio della razza padrona?
Ogni singola parola pronunciata dai quattro è stata evidentemente scritta e recitata per essere raccordata, dagli spettatori odierni, alla nostra epoca. Come in Miss Marx, il politicamente corretto e la difesa degli oppressi deve passare attraverso il filtro dell'ambientazione d'epoca e del personaggio famoso, realmente esistito. Quasi che le questioni controverse, in primis il razzismo e il sessismo della (ormai lo possiamo dire) mefistofelica mascolinità bianca non possano essere comprese altrimenti, debbano necessariamente reggersi sulle stampelle di un'epoca lontana e di una figura reale, storicamente attendibile.
Teatrale nell'impianto - alla base del tutto sta appunto un testo per il palcoscenico di Kemp Powers, autore dell'adattamento per il cinema - e verboso negli esiti, il film di Regina King s'iscrive a buon diritto nel cinema che guarda al passato per capire il presente. E che lo manipola, il passato, quel tanto che basta a fare di una semplice stanza d'albergo l'arena di una complessa e raffinata discussione su questioni interrazziali ed economiche, sorvolando sul fatto che la statura intellettuale dei personaggi, Malcolm X a parte, rende vagamente improbabile la sofisticatezza delle loro analisi.
In realtà, se ci mettiamo una mano sulla coscienza, possiamo tranquillamente affermare che, a capire il presente guardando al passato, non ci riesce quasi mai nessuno; a dispetto del fatto che si tratta di una frase che di questi tempi vedi scritta e pronunciata per ogni dove, quasi una sorta di mantra con cui l'occidente prova a esorcizzare le proprie colpe, di ieri e di oggi. Intanto ad Amazon - dopo il cabaret della signora Meisel - si specializzano nel guardare al passato per speculare sul presente, ovvero produrre/distribuire film e serie accattivanti, in stretta sintonia con l'attualità e le rivendicazioni (di genere e di razza) che la caratterizzano.
Probabile che Malcolm X si rivolterebbe nella tomba, se vedesse come i dirigenti bianchi di Amazon lucrano dai Sixties in salsa afroamericana, con extra condimento di correttezza e consapevolezza razziale. Più di qualsiasi parola pronunciata dal personaggio nel film, nel tentativo di convincere i suoi interlocutori che i bianchi sfruttano i neri anche quando non sembra, è il film stesso - in quanto sapiente operazione commerciale - a dimostrare la drammatica bontà della sua tesi.
In definitiva, più che un film sui neri, una favola della buonanotte per bianchi progressisti, economicamente abbienti, anagraficamente attempati, emotivamente nostalgici. Nel calderone finisce anche una canzone di Bob Dylan, così che possano addormentarsi sognando di gioventù e ribellione.