Nemesi, dea greca della giustizia, divinità punitrice e vendicatrice. Il titolo italiano rende chiara la vocazione del film: Nemesi è essenzialmente una storia di vendetta, grande tema che fa eco alle celeberrime opere del teatro shakespeariano tanto amato e citato dalla coltissima dottoressa Jane. Indubbiamente, il riferimento non è casuale, sebbene Walter Hill si compiaccia in un deliberato sconvolgimento delle dinamiche tradizionali della tragedia classica.
In Nemesi, la cui narrazione è affidata alternativamente a due personaggi dai dubbi valori, non è chiara, ma instabile ed incerta, la relazione tra protagonista e antagonista, tra vittima e carnefice; Jane e Kitchen svolgono ruoli ambivalenti, insistendo entrambi nel perpetrare (e perpetuare) violenza fisica e psicologica su altri esseri umani, chiaramente ritenuti indegni o inferiori – «no one of any value».
La dea fa il suo dovere, agendo per mano dell’uno e dell’altro personaggio e rendendoli ciascuno castigatore (e vittima) del proprio avversario. Entrambi, infatti, sono puniti, ed entrambi traggono dalla propria condanna una seconda possibilità, ma di fatto nessuno dei due “eroi” (sebbene super…) sa redimersi. La vendetta, così, rimane fine a sé stessa, priva di un output morale che la giustifichi. La punizione sembra d’altra parte essere insieme eterna e necessaria, a partire da una sorta di ineludibile fatalità che incombe sui due personaggi, nel classico dispositivo noir della narrazione a ritroso, come nella continua sensazione di imminente agguato e in una perenne condizione di imprigionamento - non solo l’ospedale psichiatrico, ma il proprio corpo si fa trappola psicologica insostenibile.
Questo è Nemesi, un insopportabile e opprimente panta rei che impedisce, dispotico, l’assunzione di una forma definita e definitiva. «Change will come» si sente alla fine, ma si ha inevitabilmente l’impulso di aggiungere un «over and over again», continuamente e per sempre. Se niente, dichiara Jane, neanche l’operazione chirurgica più sofisticata, può cambiare l’essenza o l’indole di una persona, qualche forza più grande è capace nondimeno di trasformare tutto ciò che la circonda – e che la racchiude.
Un mondo di shapeshifters, che è anche cifra stilistica del regista e dichiarazione di poetica, in un film all’insegna dell’ibrido che incarna allo stesso tempo la definizione di “arte” data da Jane: opere capaci di esistere oltre la politica e oltre la moralità.
Nemesi va collocato nel polivalente e indistinto filone dell’exploitation, di indole artistica molto simile a quella della stessa Jane: un’arte che, come le creature a cui dà vita, sfida le leggi della morale e del buon costume, un sentire narcisistico che ama mostrarsi e mettersi a nudo. E che, come le sue creature, ha identità fluida. Nemesi è cinema ma è anche letteratura e soprattutto fumetto, e si identifica nell’uno e nell’altro incapace (o noncurante) di prendere una posizione definitiva.
L’ibrido crea a sua volta esseri ibridi, e il film di Hill dà alla luce una figura androgina che è una e duale, incarnata in due personaggi autonomi che sono tuttavia l’uno il compimento dell’altro, la mente e il braccio, la donna-non-donna vestita da uomo e l’uomo-non-uomo in un corpo femminile; un tutt’uno fantastico e super-potente, che mira alle stelle e brama il controllo, giustiziere senza pietà capace di creare e distruggere.
Il titolo originale, The Assignment, rimanda allora al concetto di "assegnazione"; come l’illusoria collocazione dell’uomo nel grande schema delle cose. E che nella propria hybris implode e si annulla, rendendo ciascuno eterno vagabondo di un universo in divenire governato dall’unica legge del più forte (o del più intelligente).
Frank è un killer a pagamento catturato da una chirurga plastica, la quale, per vendicare la morte del fratello, anche lui era tra i bersagli del killer, lo opera per cambiargli sesso, infliggendogli così una tortura maggiore della morte. La traumatica esperienza porta Frank a cambiare, allerta la polizia della pericolosa chirurga e diventa giustiziere delle ragazze vittime di soprusi.