Quanto la società italiana ha ancora paura di pronunciare la parola omosessuale?
Per rispondere dovremmo cominciare con la grammatica. Perché omosessuale non è in primo luogo un sostantivo che identifica una persona, ma un aggettivo che nomina un desiderio: quello d’amore verso una persona dello stesso sesso. Alcune persone nel corso della propria vita hanno fatto esperienza di questo desiderio, e alcune di esse – per motivi spesso imperscrutabili, come capita quando si ha a che fare con la sessualità – hanno deciso che avrebbero vissuto la propria vita fedeli a questo desiderio.
Felice chi è diverso, il documentario che Gianni Amelio ha presentato alla Berlinale nella sezione Panorama, porta sullo schermo tante narrazioni di fedeltà a questo desiderio. Ma lo fa nella maniera più intelligente possibile, ovvero intrecciando queste storie con quelle di chi, attorno a loro, con questo desiderio invece non ha saputo avere a che farci, e ha tentato anacronisticamente di combatterlo, curarlo, annientarlo. Forse perché esprimeva qualcosa di sé che non si vuole sapere e che si tenta in tutti i modi di far tacere. O forse perché quando si ha a che fare con il desiderio c’è sempre una dimensione agonistica, e a volte per essere fedeli al proprio c’è bisogno di una guerra, come dice uno dei protagonisti all’inizio del film.
Dagli artisti ai borgatari, da Palermo a Milano, dai democristiani ai marxisti, dai monogami ai viveur, Gianni Amelio ci guida in un mondo sfaccettato e appunto diverso, quello di chi ha vissuto la propria omosessualità in un paese difficile e moralista come era l’Italia della seconda metà del Novecento, e dove l’omosessualità la si voleva, nel migliore dai casi, nascondere sotto il tappeto, nel peggiore, curare in una clinica psichiatrica o con l’elettroshock.
Perché il desiderio non è solo il capriccio di un individuo, ma una relazione con un contesto sociale e simbolico. E Felice chi è diverso dimostra di essere un grande documentario anche perché riesce a costruire tramite le storie di desideri e amori omosessuali anche una storia sociale del nostro paese: che ci mostra come di omofobia ce ne fossero tracce anche in grandi film della nostra storia (Ieri, oggi e domani o Il sorpasso), nelle pubblicità televisive, sui quotidiani o nei giornali scandalistici; così come ci fa vedere che l’omosessualità non avesse né colore politico né estrazione sociale e che spaziava dai dirigenti nazionali della Democrazia Cristiana alle famiglie umili dei paesini dell’entroterra calabrese.
Tantissime sono le storie emozionanti del film di Amelio: dal cantante Umberto Bindi che fece scandalo quando durante un’esibizione indossò il vistoso diamante della madre, a Ninetto Davoli e al suo incontro con Pasolini; da chi la famiglia lo costrinse per settimane a frequentare una prostituta per “rimettere in riga” ciò che veniva vissuto come “invertito”, a chi invece riuscì a essere accettato solo perché semplicemente una famiglia non l’aveva più in quanto orfano.
Ma le storie più toccanti sono forse quelle che assumono maggiormente una dimensione non pacificata. C’è quella, bellissima, della trans Lucy Salani che racconta in lacrime come dopo l’operazione che l’ha fatta diventare la donna che ha sempre desiderato essere, “nel sesso non si prova più niente, il sesso semplicemente non si sente più”. Si tratta di un momento in cui Amelio ci fa vedere come il problema della sessualità – per tutti, trans, omosessuali ed eterosessuali – non sia mai quello di un’identità pacificata una volta per tutte, ma quello di un confronto incessante e sempre inquieto con un desiderio.
E poi c’è quella di un adolescente di Bergamo che dà la più grande lezione politica del film, quando un giorno di ottobre, alle 7 di sera, mentre passeggia per le vie del centro città, sente la madre dare del "poveretto" a un ragazzo effeminato che passa per la strada. E decide semplicemente di non aspettare un minuto di più, e trova il coraggio di dire finalmente ad alta voce chi è.
Perché quello che siamo non ce lo dice la natura o il nostro passato. Ma è semmai la conseguenza di una decisione che dobbiamo prendere per il futuro. Per la quale, a volte, non è possibile aspettare nemmeno un minuto in più.