Guy Nattiv è stato nominato all'Oscar per il miglior cortometraggio con il film che porta lo stesso titolo del lungo presentato nella sezione Panorama, Skin. I due film ragionano sulla stessa questione, la conflittualità tra bianchi e neri nella società americana, ma la declinano in modo completamente diverso. Pur prendendo dalla medesima radice, come dimostra la violenta sequenza di apertura in cui un gruppo di militanza nazista si scontra con dei manifestanti afroamericani, la parabola di Bryon Widner non è finalizzata tanto a marcare un confine di appartenenza, quanto a raccontare le possibilità di valicarlo anche quando sembra essere un'impresa impossibile.
Tratto da una storia vera, il film racconta la vita di un giovane che compie un lungo cammino di "purificazione" che passa attraverso la necessità di emendare dalla sua pelle i segni tangibili della sua appartenza. L’espiazione delle proprie colpe e la lenta ma costante pulizia della propria anima viene simboleggiata infatti dalle sedute di rimozione dei tatuaggi dalla sua pelle. Byron (interpretato da Jemie Bell) è uno skinhead, appartenente a un movimento nazista e dunque sostenitore della purissima razza ariana; una serie di tatuaggi scuri che ha ovunque sul corpo (anche sul volto) gli ricordano le grandi tappe della sua formazione di militante e coprono il candore della sua pelle. Per questo rimuovere quei disegni assume un valore cosí profondo: ogni intervento chirurgico cui si sottopone vuol dire per Byron affrontare lentamente le colpe del suo passato e eliminare le tracce nere dal suo corpo diventa un passaggio necessario non solo a rendersi meno riconoscibile e dunque meno rintracciabile dagli appartenenti alla sua vecchia confraternita, ma anche a restituirge simbolicamente la pulizia di una ritrovata innocenza.
Nattiv è bravo a lavorare sull’opposizione cromatica lungo tutto il film, utilizzando dei forti contrasti tra luci e ombre e restituendo il graduale mutamento del suo personaggio grazie anche a un accurato lavoro sulla scenografia e i costumi. Il film non riesce però a superare una certa prevedibile stereotipizzazione dei caratteri e la narrazione si ferma in superficie. I tòpoi classici ci sono tutti (la famiglia ben radicata da cui scappare, il risentimento dei fratelli traditi, la passione per una donna capace di spostare gli equilibri, il fascino magnetico di un nemico giurato che poco alla volta diventerà il primo punto di riferimento per la nuova esistenza), e non fanno che confermare come Skin rimanga all’interno dei propri limiti senza rischiare nulla ma cercando, semplicemente, di perseguire un’idea di cinema il più lineare e appagante possibile.