Qual è stato, qual è e quale sarà l'impatto di Internet e delle tecnologie ad esso collegate sulla società contemporanea? Quali cambiamenti ha effettivamente portato il passaggio da una comunità industriale e consumista a una tecnocentrica e iperconnessa?
A queste e altre domande Werner Herzog cerca risposta nei dieci capitoli che compongono il suo Lo and Behold, Reveries of the Connected World, documentario che partendo dal prototipo del Web ARPANET (1969) giunge al presente di robot avanzati, capaci in un futuro ormai prossimo di sostituirsi all'uomo grazie a capacità di apprendimento e condivisione di dati sempre più sviluppate. Un rapido excursus nell'evoluzione informatica degli ultimi quarantanni, di cui il cineasta tedesco cerca di affrontarne ed esplorarne progressi, limiti, contraddizioni ed errori.
Come in Lezione di cinema (1991), il regista avvalendosi dei contributi di esperti in ambiti diversi rispetto al proprio, parte da un argomento specifico per arrivare a parlare di qualcosa di più ampio e complesso, in una lettura filosofica della cultura e dell'umanità che l'ha creata. Ma se con il cinema il tentativo era decisamente riuscito, con l'informatizzazione coeva il risultato non convince del tutto.
Lo and Behold non ha mezze misure, tutto sembra semplificarsi in una dicotomia di estremi, quando invece la questione necessiterebbe di riflessioni ben più caute e valutanti molteplici fattori in causa, soprattutto per quel riguarda il lato oscuro della Rete o le conseguenze di una sua non escludibile implosione. Si ha così una comunque interessante visione di insieme sul tema, che non aggiunge però molto a quel che già è più o meno conosciuto da chiunque abbia un interesse anche minimo verso il soggetto del film.
Sfuma in tal modo l'occasione di uno sguardo più attento e critico sull'annoso dibattito, che tenga conto in particolare della prospettiva futura ormai prossima legata al destino di Internet e al suo ruolo nella vita individuale e collettiva delle generazioni a venire. Resta allora un documento che constata un presente per sua natura etereo, come i dati sulla cui trasmissione si basa l'attuale sistema comunicativo. Un tempo effimero e sfuggente, difficilmente identificabile se non con uno sguardo a posteriori, utile dunque più a parlare dell'oggi che del domani.