Quello di Laurent Cantet è, prima d'ogni altra cosa, un cinema che ruota sempre attorno alla parola. Ed è perciò piuttosto spiazzante quando, in apertura de L'atelier, ci si ritrova davanti a una sequenza di immagini che delle parole fanno a meno. La prima sequenza del film è infatti tratta da The Witcher 3, videogame famoso per l'immensità del proprio universo e per la libertà di movimento concessa al giocatore; non sono immagini particolarmente rilevanti, solo un avatar, in cima ad una montagna, che agita la spada e scaglia frecce verso l'orizzonte. Non ce ne saranno nemmeno altre di simile, eppure, l'eco di quest'apertura, di un guerriero bisognoso di combattere in un mondo senza parole dove conta solamente agire, farà sentire costantemente la propria pre-senza.
L'atelier a cui fa riferimento il titolo è un workshop estivo per ragazzi che si tiene a La Ciotat, località di provincia vittima di una drammatica operazione di smantellamento dei vecchi e gloriosi cantieri navali che ne hanno fatto la storia. Sotto la guida di una scrittrice di successo, verranno gettate le basi per la stesura di un racconto thriller. Un laboratorio di parole, dialoghi e discus-sioni, in cui Cantet inserisce un'antitesi alla propria idea di cinema: un ragazzo che fa da con-traltare al potere delle parole. Per il giovane protagonista Antoine, infatti, ciò che conta sono le azioni; le parole diventano un semplice mezzo per cercare lo scontro, per fomentare le discussioni, per rievocare azioni estreme come l'attentato al Bataclan. Incapace di supportare un dialogo o costruire un discorso per esprimere le proprie idee, Antoine ritrova nelle immagini un mezzo per sfogare, anche soltanto con lo sguardo e con la mente, le proprie frustrazioni.
Ed è proprio filmandosi mentre si tuffa e fa ginnastica; riprendendo di nascosto la sua insegnante o guardando in rete immagini di scontri e violenza, Antoine riesce a veder replicate all'infinito le sue azioni e le sue idee, aumentandone così il significato e il valore. Un modo per reiterare il proprio agire, per alimentare un addestramento continuo, che passa per l'esercizio fisico, YouTube e i vi-deogame e porta all'unico modo in cui oggi è possibile, per quelli come Antoine, stare al mondo: al combattimento. Un addestramento che per forza di cose dovrà poi sfociare in un atto di violenza estrema, in uno scontro frontale.
Non è ovviamente un caso che in questo duello tra azione e parola messo in scena da Cantet, tocchi proprio quest'ultima mantenere la pace. Nel suo discorso incredibilmente politico, infatti, il regista francese individua proprio nella mancanza di dialogo la genesi delle tensioni sociali che at-tanagliano la Francia (e di conseguenza l'Europa). D'altronde, quello di Laurent Cantet è, prima d'ogni altra cosa, un cinema (e un mondo) che ruota sempre attorno a un unico elemento: la pa-rola.