Il 15 aprile 2013, durante la maratona di Boston, due ordigni artigianali pieni di chiodi, pezzi di ferro e sferette metalliche esplodono vicino al traguardo, causando la morte di tre persone e ferendone più di duecento. Tra queste Jeff Bauman, un ragazzo di 28 anni, perde entrambe le gambe. Stronger è il film, diretto da David Gordon Green, tratto dalle memorie dello stesso Bauman.
La vita di Jeff dopo la tragedia si trasforma in uno spettacolo pubblico, uno show televisivo garanzia di successo. La pressione mediatica cui è sottoposto il ragazzo è il canale di sfogo di un paese colpito al cuore, ancora frastornato e disorientato dopo l'attentato. Un paese che ha bisogno di un eroe. E così Jeff diventa Boston strong, l'eroe nazionale, il sopravvissuto che si è offerto in sacrificio e ha dato il suo contributo fondamentale per ricostruire l'identikit del nemico. Ma Jeff non si sente un eroe. Jeff si sente uno che non ha più le gambe e che non è più in grado di badare a sé stesso.
Proprio lui, così pieno di vita e di voglia fare, sempre pronto a lottare per ciò che ama e tagliare il traguardo. Come un maratoneta, come Erin, la sua ragazza, che non smetterà mai di stargli vicino. È proprio lo sport il vero e unico vaccino contro l'angoscia, metafora di una città, e di una nazione, che non demorde. Simbolo di resistenza e resilienza contro ogni avversità. Jeff è il campione eletto dal pubblico, membro onorario del popolo americano, e in quanto tale verrà chiamato in campo a rappresentare il proprio paese. Sulla pista da hockey su ghiaccio come sul diamante dei Red Socks, la squadra di baseball di Boston, Bauman è colui che ha vinto contro gli attentatori. Di qui, il passo successivo è naturale: la lotta al terrorismo è un agone sportivo, una competizione senza tregua tra il bene e il male, in cui bene e male si riducono a vincitori e vinti. In tutto ciò Jeff finisce, paradossalmente, per diventare, da vincitore, vittima prescelta. Vittima di un incidente terribile su cui non ha alcun controllo. Vittima di una famiglia cieca al suo dolore e unicamente interessata a esporlo come un trofeo. Vittima, infine, della propria incapacità di reagire.
David Gordon Green decide di tenersi a stretto contatto col protagonista, riprendendolo così da vicino da farci entrare quasi dentro di lui e vivere nella sua pelle. Tutto, nel film, è raccontato con gli occhi di Jeff, senza però essere visto da lui. La macchina da presa si mantiene sempre e comunque a distanza ravvicinata, producendo una frattura tra le immagini e il punto di vista della narrazione. Una scissione che riflette il contrasto interiore di Jeff, una ferita traumatica non ancora rimarginata ma necessaria per guarire.
Non a caso, il momento dell'esplosione non viene raccontato se non attraverso i notiziari del telegiornale, come se fosse un evento già a conoscenza di tutti. Tutti, tranne Jeff. È lui che deve trovare il coraggio di guardarsi e di affrontare la propria condizione. Le gambe tronche di Jeff sono il simbolo di una nazione mutilata, un corpo pieno di cicatrici lacerato dalla guerra e dalle teorie del complotto, incapace di progredire con le proprie forze.
Quegli attimi cruciali riaffiorano alla memoria solo nel momento di massima disperazione, quando tutto sembra perduto. Un'ellissi narrativa che fa coincidere la deflagrazione emotiva con quella fisica e reale dell'attentato alla maratona di Boston, convogliando, tutto in una volta, il significato ultimo del film: la vera salvezza sta nella coscienza di sé, nella capacità di accettarsi e di procedere a testa alta.
Stronger è un messaggio di speranza e la promessa di futuro migliore, un inno all'America che, dopo ogni attacco, riesce nonostante tutto a rialzarsi, come ha sempre fatto, e a rinascere dalle proprie ceneri. Come Jeff Bauman, il Boston stronger, che passo dopo passo, con fatica e abnegazione, riesce a rimettersi in sesto, non perdendo mai la voglia di vivere e di lottare insieme al proprio paese.