L’importante è riuscire in un modo o nell’altro a fuggire dalla propria storia. Il senso del cinema di François Ozon è tutto racchiuso in quest’affermazione, che scivola nel fuori campo alla fine di Été 85 (l'ultimo film del regista francese, adattamento del romanzo Danza sulla mia tomba di Aidan Chambers, già selezionato dal Festival di Cannes 2020 e nelle sale italiane nel 2021).
Comincia dalla fine Été 85, proprio come Sitcom – La famiglia è simpatica, anche se è la voce sommessa del protagonista Alexis, e non un’ingannevole sequenza cui “assistiamo” con il nostro udito (quella cioè in cui il padre di famiglia assassina i parenti), a fare da epilogo, raccontandoci per filo e per segno come andrà a finire la sua storia. Dopo essere stato profeticamente salvato da una tormenta in mezzo al mare, durante l’idillio estivo dell’85 – forse non casuale, come scelta: è l’anno dell’Aids, della morte di Rock Hudson… - Alexis si innamora di David Gormand.
O meglio crede di essersene innamorato. Crede di aver trovato l’amico dei suoi sogni e dei suoi desideri e fedele a questi ultimi non riesce a privarsene nemmeno quando la fattualità, la materialità sporca, “triviale”, come lui stesso a un certo punto ci dice, delle cose gli viene messa davanti.
Già da Dans la maison - di cui Ozon sembra riproporre, spogliandola dei suoi risvolti comico-grotteschi, la parentesi del rapporto tra il prof. di letteratura e il suo più talentuoso studente – ma possiamo dire già dal suo primissimo e già citato Sitcom – La famiglia è simpatica, dove il pasoliniano e parodizzato arrivo di un elemento estraneo turba la (presunta) quiete domestica di una famiglia borghese di provincia, lo spettatore è sempre invitato a cogliere una seconda realtà. In Été 85 l’invito è a scorticare l’illibatezza dell’immagine e scavare nei cunicoli della scrittura e della forma, radicandosi nel testo filmico in maniera più acuminata e sottile per cui il film (ma soprattutto la narrazione, e quindi la letteratura, presenza atavica nel cinema di Ozon) vale se ha diversi spessori e si diversifica in più livelli di realtà e irrealtà.
A connotare la messinscena del cineasta francese c’è poi l’eclettica commistione di generi. Se, però, in Dans la maison si veniva a creare il solito cortocircuito ozoniano tra verità e rappresentazione con un gioco di rifrazione multiplo (scrittore-lettore/regista-spettatore) dove la tenuità di tono controbilanciava l’intricata materia del film, Été 85 è costruito su di una tensione costante e mai smorzata e un contrappunto di eros e macabro.
Facendo sì che una zona del film smascheri l’altra, richiamando l’estetica di Rohmer – qui Racconto d’estate, Pauline à la plage, in Jeune et Jolie la sinuosità dei movimenti di macchina e il corpo di Haydée Politoff in quello di Marine Vacht – e gli intrighi alla Chabrol, Ozon è abilissimo a farci credere il contrario di quello che poi effettivamente accade. Nonostante l’estrema chiarezza della dichiarazione iniziale, per l’appunto tradita in corso d’opera. Il cinema di Ozon si situa così in una dimensione narrativa ibrida dove l’a-sistematicità di un impianto disgregato e manipolato non può che rimandare al meccanismo tipicamente letterario dell’ironia: quel sentimento del contrario che porta a tornare e ritornare su una storia, storia che si auto-genera di continuo, che si fa e si disfa all’insegna dell’ambivalenza, in uno spazio dove la realtà vola rasoterra.