Bisognerebbe partire dal 2014, da quando cioè il Festival di Locarno - tramite il lavoro di curatela di Roberto Turigliatto e Sergio Germani - ha deciso di dedicare la propria retrospettiva annuale alla casa di produzione Titanus concentrandosi in particolare sugli anni che vanno dal 1945 al 1965. Si lega infatti allo spirito di quella retrospettiva e più generale a un progressivo lavoro di riconsiderazione di uno dei periodi più negletti e sottovalutati della storia del cinema europeo - ovvero gli anni Cinquanta - la monumentale retrospettiva che Olaf Möller e Roberto Turigliatto hanno organizzato al Festival di Locarno di quest’anno. A lungo considerati come una decade di cinema consolatorio, disinteressato ai conflitti, unicamente volto all’intrattenimento del pubblico e al mercato, gli anni Cinquanta sono stati a lungo relegati a una collocazione di insterstizio: tra il dopo della guerra mondiale e il non ancora del compiuto modernismo delle nouvelle vague degli anni Sessanta (segnati in Germania dal manifesto di Oberhausen del 1962).
La realtà che emerge dalla visione dei film di questa retrospettiva è invece significativamente diversa: gli anni Cinquanta sono uno snodo storico fondamentale per la Germania, e di conseguenza per l’intera Europa, dove si condensano alcune delle contraddizioni fondamentali del Novecento. Vi è il superamento/rimozione dei fascismi degli anni Trenta (il paradigma è Kirmes di Wolfgang Staudte, ma anche Machorka-Muff di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, e Der Hauptmann von Köln di Slatan Dudow), un rapido quanto traumatico processo di modernizzazione (la prima parte di Banktresor 713 di Werner Klinger), ma sono anche il periodo dove alcune istituzioni della società iniziano a entrare in crisi, a partire da quella matrimoniale (in Der gläserne Turm di Harald Braun), per non parlare di quella religiosa (Das Wunder des Malachias di Bernhard Wicki) e persino della norma eterosessuale (Mädchen in Uniform di Géza von Radványi).
Se il cinema degli anni Sessanta (ma dal punto di vista storico il significante fondamentale porta il nome di Sessantotto) ha spesso finito per sottolineare gli elementi di discontinuità con il cinema dei propri padri, l’obiettivo della retrospettiva è invece quello di riscoprire degli aspetti di continuità: come a dire che anche nei momenti di più alta tensione avanguardista si finisce comunque – ancorché inconsciamente – per ripetere forme e immaginari di quello che c’era stato prima.
Riassumere una retrospettiva di 73 film è pressoché impossibile in poche righe, e l’ambizione storiografica dell’operazione di Olaf Möller è tale che le conseguenze non potranno che misurarsi sul medio periodo se non su quello lungo (intanto è previsto un lungo tour per i prossimi due anni di molti questi film in diverse istituzioni e festival europei e nordamericani, a cominciare da un’appendice al prossimo festival I mille (o)cchi di Trieste). Quello che ha permesso la realizzazione di una retrospettiva tanto monumentale è infatti stato – a detta degli stessi diretti interessati – una fortunata quanto irripetibile coincidenza di diverse condizioni e istituzioni: basti pensare che il Deutsches Filminstitut ha persino ristampato le copie in 35mm di diversi film appositamente per la loro proiezione a Locarno. Per gli undici giorni di festival la sezione su Il cinema della giovane Repubblica Federale Tedesca, 1949-1963 è stato sostanzialmente un festival nel festival, costringendo coloro che la volevano seguire a un sostanziale isolamento da tutto quello che nel frattempo stava accadendo nel resto del Festival di Locarno.
Tuttavia vi sono alcuni film, che anche se all’interno di una selezione omogeneamente di così alto livello, meritano lo stesso di essere menzionati. Come ad esempio Weg ohne Umkehr (1953) di Victor Vicas, un film che racconta le vicende di un soldato sovietico a Berlino che al termine della guerra rimane a vivere nella parte Est della città ma che decide di voler riprendere contatto con alcune delle persone che vivono all’Ovest che ha conosciuto durante la guerra, tra cui una ragazza a cui ha salvato la vita e di cui si è innamorato. Le pellicole che affrontano il tema della vita a Berlino divisa tra Est e Ovest rappresentato un vero e proprio filone all’interno del cinema degli anni Cinquanta della RFT: siamo in un periodo dove il muro non è stato ancora costruito e dove la parte Orientale e quella Occidentale della città sono tutt’altro che impermeabili.
Da ricordare poi sono senz’altro i film di Wolfgang Staudte, il cui Kirmes (1960) rappresenta una delle punte di lucidità politica più perturbanti dell’intera rassegna: si tratta di un film girato in flashback dove il ritrovamento del corpo di un soldato disertore alcuni anni dopo la fine della guerra serve a mostrare la linea di continuità tra il nazismo e la Germania della RFT e la complessità di un’adesione al regime che fu più molecolare che coercitiva. Straordinari sono poi i film di Helmut Käutner, dal modernista e antonioniano Die Rote (1960), tutto girato a Venezia con Ruth Leuwerik (che, come ha detto lo stesso regista, “per molti anni è stata la signora irreprensibile, la madre adorante della società tedesca, è qui una figura moderna, rovinata, una segretaria che vive con due uomini e si lascia sedurre da un terzo, a Venezia. Sono cose di lei che la gente non avrebbe voluto sapere”), al disincantato e durissimo Schwarzer Kies (1961), girato nel sottobosco criminale del mercato nero di una base americana di stanza in Germania.
Una menzione particolare poi dev’essere fatta per Der gläserne Turm (1957) di Harold Braun – tra i film in assoluto più densi e stratificati dell’intera retrospettiva – una melodramma di grande intensità che affronta le contraddizioni di un rapporto di coppia in crisi in una RFT che aveva ancora una legislazione secondo la quale il marito aveva piena potestà sulla decisioni della moglie. In questo film un grande magnate dall’industria tedesca (la modernizzazione industriale tedesca è sullo sfondo) viene messo in crisi dalla scelta di libertà della moglie che decide di continuare la sua carriera teatrale nonostante il parere contrario del merito. Raramente si è visto un film dove il desiderio femminile e il rapporto tra i sessi sono stati rappresentati con una tale radicalità e lucidità.