«Smettila di filmare», dice lei, la madre. L'obiettivo la scruta. La figlia, fuori campo, la interroga. «Smettila di filmare!». Ma lei non la smette, perché vuole finalmente capire quella madre che sembra un'estranea. Che per tutta la vita ha vissuto in un mondo a parte. Che ha sempre amato le donne. Vuole fare i conti con tutto il rimosso (anche tragico, devastante) accumulato nel passato. Vuole dichiararle il suo amore.
Ecco perché il cinema. Hui-chen Huang, documentarista taiwanese, gira un film su di lei, su sé stessa, su di loro (sorella compresa). Il cinema aiuta a guardare meglio, a interrogare la realtà, ad andare in profondità. Rompe la superficie dell'ovvio, dei “non detto” e “non visto”. Pretende di arrivare a qualcosa che assomiglia alla verità.
In Ri Chuang Dui Hua (Small Talk) – film prodotto da Hou Hsiao-hsien – c'è il quotidiano, il documento della vita lasciata andare alla deriva dell'abitudine, e c'è la ricostruzione del passato, l'inchiesta esistenziale, il confronto tra due anime in pena. Ci sono le fotografie e gli incontri, il pedinamento e la riflessione in voce off, le testimonianze (qui reticenti e là scioccanti) e i dialoghi rivelatori. C'è il lunghissimo (intenso, bellissimo) silenzio di Anu, la madre lesbica, dopo aver detto «Chi voleva capirmi?», dopo che la figlia ha cercato di spiegarle che «Noi volevamo, ma tu non ce l'hai permesso»: l'imbarazzo, la vergogna, il dolore spinto via da qualche parte, dentro quel corpo mascolino, dietro quel volto taciturno percorso da lievi tremori.
C'è anche un momento in cui la camera rimane fissa, immobile, dopo che la madre non regge più il peso dei ricordi, dopo aver chiesto ancora di spegnere la camera - «Smettila di filmare» - quando si alza ed esce di scena, pensando di essere fuori dal film, mentre il cinema continua a girare, e anche la figlia-regista la segue, per andarla a consolare, e noi rimaniamo soli con quell'immagine vuota, piena di domande. Fino a dove può arrivare il cinema? Fino a quando ha senso filmare? Il cinema è lo strumento e insieme il processo. È l'occasione di dire ciò che non è mai stato detto. Di liberarsi dai fantasmi del passato (parliamo di una donna che di mestiere faceva lo “spirito guida” per i defunti). Il cinema può contribuire a mostrare e rivelare l'invisibile, ciò che di solito non riusciamo a vedere.
Ri Chuang Dui Hua (Small Talk) è un documentario molto personale, intimo – che acquista il valore di un film inchiesta sulla società taiwanese e i suoi cambiamenti – ma è anche un dramma, con le sue scene madri, e un thriller psicologico costruito in crescendo. C'è una vita da svelare, un rapporto da capire, un'anima da incontrare. Le scoperte si susseguono sapientemente lungo il film. Scopriamo un padre violento e perverso, nel contesto di un mondo in cui i matrimoni erano combinati, imposti dalle famiglie. Scopriamo le amiche e le amanti, le luci e le ombre di Anu, le sue passioni e le ossessioni, la generosità a letto (era molto popolare tra le ragazze) e gli eccessi maneschi. Fino ad arrivare al confronto finale, intorno a un tavolo, la madre e la figlia, dentro una scena che rischiava di essere troppo pensata, voluta, “messa in scena”, e invece diventa verità e dolore, commozione, con rivelazione finale. E la vita ricomincia.