La pazienza delle donne. O, anche, il loro occhio interiore.
Del resto, per guardare e vedere qualcosa nella coltre bianca che ricopre il Minnesota di Fargo (1996), ci vuole qualche talento particolare. E anche per infiltrarsi nella caotica rete noir disegnata dal dilettantismo di due killer, uno logorroico, l’altro sanguinario (manovrati da un mandante ancor più inadeguato).
Quando arriva Marge (Frances McDormand), dopo mezz’ora di film, il rovesciamento della logica di genere si completa: una donna, incinta, accudita da un marito servizievole.
Nella prima scena che la vede protagonista, Norm le prepara due uova (“Devi mangiare qualcosa”) e le carica la batteria dell’auto.
Ah, le donne.
Poi, però, in questo film che è, in fondo, un atto d’amore nei confronti del femminile (niente più femme fatale, solo mogli e madri), Marge, a poco a poco, pazientemente, pesantemente, portandosi dietro quella pancia enorme, vede e capisce tutto in un gioco di cose che vanno storte, sempre e soltanto storte.
È una madre al centro di un universo di mezzi uomini pasticcioni, killer improvvisati, agenti di polizia imbranati, mariti casalinghi divisi tra la pittura e la pesca. Marge li conosce, li aspetta, li prevede.
Ok, yes, jeez: lo ripete un’infinità di volte; sorride, eccede in cortesia, sembra un po’ ottusa e provinciale, pensa soprattutto a mangiare. Niente la sorprende; del resto, viene dal paese di Paul Bunyan, la più assurda mitologia del folklore americano.
La sua detection è un viaggio nell’imperfezione maschile, nella piccolezza degli uomini che partoriscono taglialegna semi-divini per spiegare l’origine del mondo (americano) e dargli una forma.
Ma lei, che è l’origine del mondo, sa vedere la truffa e sa muoversi nel caos, conosce il mondo e la sua imperfezione noir.
Ah, gli uomini.