Il film è stato in precedenza presentato al Festival di Cannes.
Camera-car: una macchina attraversa una strada di campagna, irta di siepi e di curve. Sulla destra, d'un tratto, come un angelo-guardiano, si avverte la presenza di un giovane dai capelli ricci e neri, leggera panoramica verso di lui; l'auto prosegue, sulla sinistra si intravvede una casa immersa nel verde, davanti ad essa è seduto un signore anziano, dall'aria burbera. Dalla casa proviene della musica rock (sono i Pink Floyd) sparata a tutto volume ma che arriva filtrata, ovattata, nell'abitacolo. L'auto imposta un'inversione; stacco; la mdp, posizionata accanto al giovane sul ciglio della strada, inquadra la manovra. Léo, il protagonista, che guida l'auto in questione, si ferma e avvicina il ragazzo per domandargli se, con quel volto, abbia mai pensato di fare cinema; mentre il ragazzo manifesta un fastidio incontenibile, la mdp si mantiene ad adeguata distanza, non asseconda il desiderio voyeurista dello spettatore di vedere meglio il giovane, di cui si intuisce soltanto l'irregolare magnetismo, un po' da personaggio pasoliniano, o, se si preferisce, da modello caravaggesco, e quindi di capire le ragioni della proposta; di fronte al rifiuto, Léo riprende la marcia, ripassa davanti alla casa, dove il vecchio lo mette in guardia rispetto a "quel frocetto", Yoan. Léo prosegue il proprio viaggio, per raggiungere i pascoli morbidi del Massiccio Centrale.
Comincia così, con il doppio attraversamento di una soglia, il nuovo film diAlain Guiraudie, secondo della competizione ufficiale di Cannes 2016, dal titolo che si presta a interpretazioni superficiali e facili ironie. Comincia con una soglia che separa una sorta di Arcadia moderna, di distopia leggera (più attenuata di quanto non fosse in Voici venu le temps, che risale al 2005) dal caos della contemporaneità (che poi, nel film, è rappresentata da Besançon, Séverac e da un'ordinatissima Brest); un'Arcadia dove, come d'altronde nell'Arcadia classica e nell'Olimpo, le regole del dell'attrazione, del gender, della convivenza tra esseri umani, quasi una rete di solitudini articolate da legami deboli e quasi sempre vaghi, sono autodeterminate, prive di gran parte dei condizionamenti ai quali l'homo civilis le ha sottoposte. Un'Arcadia dove, nella relazione con la giovane pastora Marie, alle prese col proprio gregge e con l'assedio dei lupi, Léo trova, sembra scoprirla per la prima volta, l'Origine du monde, svelata anche allo spettatore con un'inquadratura in fondo pudica al limite del clinico. Anche in questo caso l'immagine stacca, di nettezza, sul momento in cui quegli stessi genitali femminili, inquadrati à la Courbet, vengono aiutati a dare alla luce il frutto dell'unione tra il protagonista e la giovane. Un'altra soglia, che rappresenterà, nel rapporto anomalo tra lo scrittore e la pastora, un punto di non ritorno.
Il nucleo famigliare che apparentemente sembra essersi creato si disgrega per una depressione post-parto della giovane madre: d'altronde non è detto che, pur avendo già due figli (non è dato sapere da chi, il sospetto che possano essere frutto di un rapporto incestuoso con il padre non è così peregrino), debba forzatamente, naturalmente, essere dotata di uno spiccato istinto materno; ecco infatti che si appella al desiderio di paternità manifestato da Léo per richiamarlo alle proprie responsabilità e mollargli il bimbo. Un figlio al quale lui non riesce tuttavia a dare quanto vorrebbe, arrivando a rischiare di perdere tutto, in fuga da un produttore che reclama una sceneggiatura pagata e mai scritta, senza riuscire a stare mai davvero lontano da quell'Arcadia.
È come se Guiraudie, con questa sua nuova incursione negli spazi della Natura, anche con le derive più bizzarre del caso (su tutte la fata/sciamana nel bosco, figura debitrice del Peau d'Âne di Demy) volesse ricordare che l'uomo è innanzitutto "scimmia nuda", creatura queer, nel senso di unnatural, per eccellenza: non solo nelle azioni contra naturam di Léo – il desiderio omo, e, proprio attraverso un rapporto sessuale, il suicidio assistito dell'anziano Marcel – ma anche nel finale, sospeso, messo in immagine come se il giovane scrittore fosse un Buon Pastore da catacomba paleocristiana o da oleografia ottocentesca, in braccio un agnello, là dove aveva stretto il proprio bimbo, il tentativo di riconciliare l'inconciliabile, i lupi con gli agnelli. Restando verticale, eretto, di fronte al branco; che è poi la caratteristica dell'homo erectus, e quindi dell'homo sapiens: "le sexe, et la mort, c'est déjà dans la Grotte de Lascaux".