C’è sempre una grande dolcezza nello sguardo di Marie Losier, un immenso rispetto nei confronti di chi osserva e una profonda curiosità che le permette di andare al di là dell’apparenza della persona-personaggio che segue con attenzione. E tutto sommato proprio di questo si tratta, di un interesse-amore verso la messa in scena e verso uomini che tanto più mettono in scena sé stessi, il loro corpo, la loro vita, quanto più svelano qualcosa di vero.
Non è la prima volta che Losier si appassiona a una figura complessa e carismatica come quella di Cassandro, sorta di Liberace della “Lucha Libre”, ormai a fine carriera.
Qualche anno fa era stata la volta di Fernando Santos, straordinario protagonista di Morrer como um homem (2010) di João Pedro Rodrigues, che la regista aveva omaggiato nell’episodio del film collettivo Aqui, em Lisboa: Episódios da Vida da Cidade (2015), dal titolo L’Oiseau de la Nuit, in cui, tra gli altri, comparivano lo stesso João Pedro Rodrigues, João Rui Guerra da Mata, Cindy Scrash, Carlos Conceição.
Il ritratto di Cassandro, col quale Marie Losier ha stretto un rapporto di amicizia e fiducia, si rivela doloroso e poetico, mostrando la solitudine di un uomo che pian piano sente il corpo sempre più affaticato, combatte ancora contro le dipendenze, ricorda gli innumerevoli successi, ma soprattutto mescola una straordinaria vitalità a momenti di disperazione.
Il ruolo avuto da Cassandro nel far accettare la “diversità” in un Paese machista come il Messico e in uno sport che lo è ancor di più, come il wrestler, è di grandissima importanza, soprattutto perché il suo corpo e la sua persona diventano “politiche” quasi suo malgrado.
Attraverso il trucco e i vestiti dai colori sgargianti – in una disciplina, tra l’altro, in cui tutti sono abbigliati in maniera stravagante e inventano spettacoli di lotta tutt’altro che sobri – Cassandro si impone doppiamente. Da un lato, grazie alla sua forza, vince senza problemi numerosi combattimenti, dall’altro, attraverso i suoi travestimenti, si colloca nell’immaginario di quello sport, lo stravolge e lo condiziona.
Ma al di là dei momenti di solitudine e disperazione, e dell’orgoglio con cui mostra i suoi cimeli, Cassandro si dimostra una persona di grandissima ironia e intelligenza, capace di ridere anche di sé stesso, della sua morte – anch’essa messa in scena in maniera totalmente teatrale – delle sue debolezze. Un uomo che ha maturato, per sopravvivere, la capacità di costruire su vittorie e sconfitte, miserie e gioie, un enorme spettacolo, che in fondo è la sua vita. E proprio in quello spettacolo, fatto di ciglia finte e paillettes, di capelli cotonati e pose divistiche, sta la verità di questa persona, la sua essenza. Poiché come diceva Agrado in Tutto su mia madre (2006) di Pedro Almodóvar “bueno, lo que les estaba diciendo, que cuesta mucho ser auténtica, señora, y en estas cosas no hay que ser rácana, porque una es más auténtica cuanto más se parece a lo que ha soñado de sí misma” (“bene, quel che stavo dicendo è che costa molto essere autentiche, signora mia, e in questa cosa non si deve essere tirchie, perché una è più autentica quanto più assomiglia all'idea che ha di sé stessa”).