“I’m not saying you never had it so good... but that is a fact, isn’t it?”
(Lyndon Johnson, 36º presidente degli Stati Uniti d'America)
Non è un caso che a incorniciare Ciao America sia un’apparizione televisiva del presidente Lyndon Johnson che glorifica la società statunitense. Nel mezzo, ovviamente, di società gloriose ed esaltanti, nemmeno l’ombra. De Palma è sempre stato ossessionato dal tematizzare l’atto del guardare: spiare per provare a vedere e a capire meglio la realtà (e l’irrealtà) dello sguardo. Ed è chiaro che il punto di partenza e d’arrivo, anche in un film che di misterioso, enigmatico ed hitchcockiano (e quindi depalmiano) non ha (apparentemente) nulla, non può che essere una bugia, un falso indizio da smascherare. La posta in gioco è sempre la conoscenza; non per forza di cose rivoluzionaria, ma capace di avvicinare personaggi e spettatori alla realtà. Spiare e provare a capire si traducono, per De Palma, nel superare la bugia iniziale e seguire da vicino l’America da cartolina venduta dalle istituzioni. Un gesto che si concretizza nel racconto di tre ragazzi che di quella visione eroica rappresentano l’esatto opposto: Paul cerca in tutti i modi di evitare l’arruolamento per il Vietnam, Lloyd è ossessionato dall’omicidio Kennedy, Jon è un regista/fotografo voyeur. Ognuno porta avanti le proprie contraddizioni, ognuno sovverte il sogno di nazione perfetta veicolato dai media; ognuno, a suo modo, fallisce. D’altronde, non era quella la miglior America possibile?