Nel 1979 De Palma torna al college in cui ha studiato, il Sarah Lawrence di New York, come professore. È qui che nasce Home Movies, un esperimento sul campo per i suoi studenti, un esercizio cinematografico. Un manuale suddiviso in capitoli sulla star therapy: l’arte di stare al centro dell’inquadratura ed essere protagonisti della propria vita. A fare lezione è il Maestro, alter ego dello stesso De Palma, un Kirk Douglas con il polso del regista dittatore e il carisma di uno Spartacus redivivo. Non a caso, la declinazione teorica della terapia del divo è la spartanetica, una disciplina il cui unico motto è: «coloro che sanno, sanno». Il diktat tautologico dell’esaltazione del sé e del narcisismo fine a sé stesso, l’imperativo supremo sancito dallo Star System. Ma Home Movies è anche un ritratto di famiglia autobiografico. Ecco quindi il secondo alter ego: Denis Byrd, giovane studente di cinema. Denis è “l’uomo invisibile” in casa sua, messo in ombra da un fratello maggiore borioso, pupillo di una madre incline alla tragedia e di un padre col vizio delle infermiere. Ogni personaggio indossa una maschera e interpreta un ruolo, come da copione. E Denis, per fare esperienza, deve riprendere la rappresentazione farsesca della propria vita. Sotto la patina della commedia, De Palma insinua una critica all’industria hollywoodiana, a cui ammette, allo stesso tempo, di appartenere. Si prende gioco del cinema e del fare cinema, servendosi della retorica di genere e della grammatica cinematografica per dissacrare ogni dogmatismo. Il regista è costretto a sdoppiarsi per poter stare dietro e davanti la macchina da presa, riducendosi, infine, a spiare per ore di fronte a una finestra. Home Movies è una teoria del cinema, un’operazione meta-cinematografica d’ironia autoreferenziale che mette in scena la messa in scena.