Partiamo dalle scelte stilistiche su cui è costruito il film. Io ho apprezzato il carattere allusivo, minimale della messa in scena, nella prima parte del film. Poi, ad un certo punto, c’è un cambiamento radicale, nel momento in cui il protagonista porta la ragazzina dai due uomini. Questa scena viene mostrata in modo molto più diretto, realistico, esplicito, in contrasto con il resto del film. Perché?
Si tratta dello stesso contrasto che c’è nella realtà tra il supporre qualcosa e il vedere qualcosa. Volevo che lo spettatore vivesse il contrasto che esiste tra l’immaginare che qualcosa stia accadendo e il vederlo direttamente. Un conto è quando qualcuno ti dice che qualcosa accade, un altro è quando te ne rendi conto di persona. Quando te ne rendi conto di persona è uno shock. Volevo che anche all’interno del film si vivesse lo stesso percorso. Per me era importante non nascondere tutto. Volevo dare le informazioni lentamente, ma dopo un po’ volevo che lo spettatore potesse vedere tutto quello che stava accadendo. Con questo non intendevo scioccare gratuitamente lo spettatore, ma metterlo di fronte a una realtà che è scioccante. Non è comunque l’unico “shock”. Già l’inizio – una porta che si chiude – è uno shock. C’è poi la scena in cui la bambina prende a schiaffi il fratello. E c’erano state delle anticipazioni della scena dei due uomini: il sotterraneo di quella sequenza era già stato mostrato anche in precedenza.
Nel film vediamo spesso la moglie del protagonista che guarda documentari sugli animali. Si tratta forse di una sorta di chiave di lettura? Un modo per dire che il problema della violenza non è “sociologico”, ma piuttosto un problema “etologico”, connaturato cioè alla natura degli esseri umani?
Sì è corretto. È interessante questa lettura, ma non c’è solo questo. C’è anche il fatto che questa donna non esce mai di casa. Lei vive, trova la sua libertà attraverso la natura che vede nei documentari televisivi o nei puzzle che ci sono nella casa. Puzzle e documentari rappresentano la libertà che non ha e che vorrebbe avere.
D’altra parte, è possibile anche un’interpretazione opposta: vediamo che il protagonista ha un lavoro precario e guadagna pochi soldi.
Questa è la Grecia!
E questo ci porterebbe sul versante “sociologico” piuttosto che su quello “etologico”, ci porterebbe a pensare che l’origine di tutto abbia ragioni economiche.
Pensi che sia così? No, io non penso che le cose stiano così. Il problema non è che ha pochi soldi. In realtà, lui potrebbe avere un lavoro, potrebbe guadagnare denaro a sufficienza, ma abbandona il lavoro per poter controllare la famiglia. Altrimenti la famiglia andrebbe fuori dal suo controllo. Non penso che lo faccia per denaro. Lo fa piuttosto per mantenere il dominio sulla famiglia.
Il film cerca di coinvolgere spesso lo spettatore nella vicenda. Ci sono, ad esempio, molti sguardi in macchina. E poi c’è quella scena in cui il protagonista si rivolge agli altri personaggi chiedendo: “E tu dov’eri? E tu dov’eri?”. Quando pone queste domande si rivolge alla macchina da presa e quindi allo spettatore.
Sì, questa era la mia intenzione. Ho riflettuto molto intorno alla direzione degli sguardi dei personaggi. Il miglior esempio è la scena con la preside della scuola. I due personaggi guardano verso la camera, ma stanno parlando tra di loro e si scambiano i ruoli. Questo è un modo per coinvolgere lo spettatore. In questa scena i personaggi ti guardano in modo molto onesto, sincero. È come se ti dicessero: “Eccomi, sono qua: guardami, aiutami, credimi, filmami”. Lo stesso vale per certi sguardi in camera di Eleni. Il problema è che vediamo questo, ma non possiamo fare niente o non vogliamo fare niente. Non solo lo spettatore, intendo, ma l’intera società. Questa è il concept.
C’è un’altra scena in cui le tue scelte stilistiche possono suscitare discussione.
[ridendo] Mi sa che non ti sono piaciute le mie scelte stilistiche.
Le apprezzo quando sono allusive, ho qualche dubbio quando tendono all'esplicitazione... Parliamo invece del movimento circolare intorno ai due bambini mentre lei lo schiaffeggia ripetutamente.
È la mia scena preferita. E questa è stata l’unica ripresa. Non sono un regista che gira, gira, gira. Questo è il mio modo di procedere e chi lavora con me lo sa. Non vedo la ragione di girare le scene in modi diversi. Non voglio manipolare la situazione in questo modo. Qui si parla della violenza, un circolo che non finisce mai. Eleni rompe il circolo, ma non del tutto. Lo rompe solo momentaneamente. Il circolo della violenza poi continua.
Vorrei tornare a una domanda di carattere più generale. Qual è l’obiettivo che ti ponevi con questo film: documentare qualcosa? Denunciare? Spiegare?
Criticare. Criticare perché credo che nella società ci siano cose buone e cose cattive. E le cose cattive devono essere cambiate se vogliamo una società migliore. E perché ciò possa essere fatto dobbiamo criticarle. Oggi in Grecia siamo di fronte a una grave crisi economica, abbiamo quasi il sentimento di una specie di guerra. Ma io penso che il problema sia più profondo. Penso che dobbiamo ricostruire dalle basi l’intero sistema, a partire dai valori più profondi, mostrando le “cose cattive”. E perciò non dobbiamo aver paura di mostrare la realtà.
Ma nell’affrontare un tema come questo non ti sei mai chiesto se non vi fosse il rischio della morbosità, dell’exploitation, per così dire?
No, non c’è nessun rischio di questo tipo, perché siamo molto rispettosi verso le vittime. No, non penso ci siano rischi di questo tipo. Come non c’era questo rischio per Pasolini, quando filmava Salò, perché era rispettoso verso le vittime. No, non penso: non facciamo pornografia, non mostriamo tutto, non spingiamo le cose troppo in là. Noi ci limitiamo a dire: “guarda quello che accade”. Se le mie scene sono scioccanti, allora cosa dovremmo dire di Salò? Quel film era assolutamente scioccante. Il fatto è che, per me, la società è scioccante. Perciò se scegli di vedere la realtà, non puoi che essere scioccato. Se scegli di vedere quello che accade oggi in Grecia, sarai scioccato. L’alternativa qual è? Se non vogliamo vedere la realtà, possiamo rimanere nelle nostre case, coltivare fiori, fare cose così. Va bene, ma la realtà esiste. Vogliamo vederla o no? Vogliamo essere scioccati o no?
Allora hai mai pensato di optare per un film alla Salò, scioccante dall’inizio alla fine?
No, perché ai tempi di Pasolini il nemico era chiaro: era il fascismo. Il problema della società di oggi è che il nemico non è chiaro. Non c’è il fascismo, non c’è la dittatura da combattere. È tutta la società il problema. Il problema è che oggi tutto appare in ordine, tutto sembra andare nel migliore dei modi, mentre non è così.