Alcuni anni fa Errol Morris diresse The fog of war, un documentario su Robert McNamara, segretario della difesa nelle amministrazioni Kennedy e Johnson. Oggi dedica The Unknown Known a un altro politico americano protagonista di scelte controverse (l’Afghanistan, l’Iraq, ecc.): Donald Rumsfeld, segretario alla difesa sotto Ford e Bush jr. La differenza tra i due personaggi, Morris la riassume con un caustico commento di sua moglie, secondo cui «McNamara è l’Olandese volante, l’uomo che viaggia nel mondo alla ricerca della redenzione e non la trova, mentre Rumsfeld è il gatto del Cheshire di Alice nel paese delle meraviglie che alla fine scompare lasciando di sé solo un ghigno».
In tutto il suo cinema Morris ha detto di aver ritratto «personaggi che non sono completamente consapevoli di se stessi, dei personaggi clueless». Per questo motivo, Donald Rumsfeld, che «spesso dice cose contraddittorie o confuse», gli sembra il protagonista perfetto per il suo cinema. «Chi è veramente Rumsfeld»? L’obiettivo di The unknown known non era estorcere a Rumsfeld «una confessione delle sue malefatte e delle scuse verso di me e verso il mondo»: «questo non succederà mai e non era questo l’obiettivo. Non sono un prete cattolico, non raccolgo confessioni, raccolgo resoconti, testimonianze, ricordi. L’obiettivo era capire chi può essere quest’uomo, guardare dentro la sua testa». All’obiezione di qualcuno secondo cui non sarebbe stato sufficientemente incalzante, Morris risponde che «il film è in realtà un ritratto devastante. Non l’ho contraddetto? Sì, l’ho fatto, ma comunque l’obiettivo non era contraddirlo: preferivo che a contraddirsi fosse lui stesso».
Morris non vede «il documentario politico come una lotta tra un intervistatore che pone domande penetranti, cattive e un intervistato che sbava per difendersi», ma piuttosto come «il tentativo di catturare, ritrarre una persona, cogliere la profondità (o la mancanza di profondità) di un individuo». E la caratteristica principale di Rumsfeld sta nel fatto che egli «utilizza costantemente princìpi filosofici che non spiegano e ha una vera ossessione per le parole e per la loro manipolazione: cerca di manipolare gli altri attraverso le parole, ma finisce per manipolare se stesso, si perde nel suo mare di definizioni».
Rumsfeld, secondo Morris, sembrerebbe uguale a tanti uomini politici, che cercano il potere e che, per questo obiettivo, sono disposti a dire il falso. Ma in lui «c’è anche qualcosa di diverso: l’uso della filosofia e l’ossessione per le parole, il modo in cui manipola non solo gli altri, ma se stesso». Se i politici cambiano spesso le loro opinioni, la peculiarità di Rumsfeld è che «può farlo un secondo dopo, senza accorgersene. Sta recitando? Questo rimane uno dei misteri di quest’uomo».