Quando nel celebre racconto di Melville, Bartleby lo scrivano decide senza motivo di fermarsi, rispondendo a ogni ordine che gli viene dato la stessa identica frase – “preferirei di no” – il mondo intorno va nel panico. Perché l’avrà fatto? Cosa ci starà dicendo? L’effetto è quello dell’immediato cataclisma. Basta che per un momento, nel susseguirsi degli eventi ripetitivi della quotidianità, vi sia un piccolo atto di sottrazione e rottura, che tutto da un momento all’altro crolla.
Succede questo in Via Castellana Bandiera, bell’esordio cinematografico della regista di teatro Emma Dante: due macchine, guidate da due donne, si incontrano in una stretta via della periferia di Parlermo. Non c’è spazio, una delle due deve tornare indietro, ma entrambe “preferirebbero di no”. Nessuna ha intenzione di cedere. Passano i secondi, i minuti, le ore… persino i giorni. Che si fa?
Lo stallo attorno cui si costruisce tutto il film diventa uno spazio di tensione dialettica a metà tra l’impasse che paralizza negativamente e il momento di verità in cui tutti gli attori in campo mettono in discussione le loro vite. Via Castellana Bandiera è teatro di un evento indecidibile: può andare in una qualunque direzione eppure nulla si muove. Molte persone compaiono sulla scena, si muovono attorno alle macchine, si conoscono, succedono tante cose, nascono amicizie, rivelazioni, ma tutto rimane – anche per convenienza di qualcuno – bloccato.
Ma Emma Dante non si limita a questo, perché non si capirebbe il suo film senza la riflessione sul femminile che lo attraversa. Alla guida delle due macchine ci sono due donne: giovane, lesbica, appena entrata in una crisi di coppia l’una; anziana, muta e cocciuta l’altra. Sono diversissime eppure i loro destini si legano l’un l’altro. Tra le due inizia “una lotta di puro prestigio”, come direbbe Hegel, senza alcun motivo eppure anche senza pietà. Non dormono, non mangiano, si scrutano. Quando una fa la pipì in mezzo alla strada anche l’altra la segue. Quando una butta il cibo in segno di sfida, anche l’altra ripete lo stesso gesto. Perché questo sono le lotte di puro prestigio: si è nemici ma ci si specchia anche l’uno nell’altro. Le due donne sono cocciute (“vediamo chi ha le corna più grandi”) ma in questo gioco di sguardi silenzioso si riconoscono anche.
Se però Emma Dante avesse davvero voluto fare un western, avrebbe dovuto spingere più convintamente sulla plasticità dello stallo, deprivarlo fino in fondo di profondità, storia, motivazioni. Invece non resiste alla tentazione di dirci che Sonia è già stata lì, che Samira sta rielaborando un lutto. Lo stallo viene riportato a una causa, a una biografia, a un motivo. Ci viene spiegato, in poche parole. Come si vede persino un po’ didascalicamente nella frase di Giorgio Caproni che chiude un film comunque convincente: “Constatazione. Non c’ero mai stato, m’accorgo che c’ero nato”.