Non sempre è indispensabile conoscere il contesto nel quale un film è stato pensato e girato, saperne leggere i riferimenti esterni o essere informati sui dettagli biografici di autori e interpreti.
Nel caso di Las niñas Quispe di Sebastián Sepúlveda, presentato alla Settimana della Critica, questo corollario di informazioni diventa però importante per capirne il valore evocativo, ottenuto non solo con la regia ma anche con precise scelte di casting.
La storia vera e tragica delle tre sorelle Quispe, morte nel 1974 dopo una vita di lavoro e solitudine quasi completa, fa parte dell'immaginario popolare cileno: ha ispirato poesie, racconti, un documentario, Las hermanas Quispe di Octavio Meneses, e una pièce teatrale, Las brutas di Juan Radrigán, sulla quale la sceneggiatura del film, scritta dallo stesso regista, è in parte basata.
Per dar corpo a Justa, Lucía e Luciana, personaggi quasi leggendari, Sepúlveda ha scelto due volti noti di attrici professioniste – Catalina Saavedra (protagonista di La nana di Sebastián Silva, era già in Las brutas a teatro) e Francisca Gavilán (Violeta Parra se fue a los cielos di Andrés Wood) – e una non professionista molto particolare: Digna Quispe, nipote delle vere sorelle Quispe, che tuttora vive nelle zone montuose e isolate nel quale il film è ambientato.
Un intreccio di (auto)biografia familiare e realismo recitativo (c'è anche Alfredo Castro in un piccolo ruolo inventato da Sepúlveda) per una messa in scena sempre composta, che rende coerente il percorso umano delle protagoniste anche nei dettagli più duri, sconvolgenti e lontani dal nostro modo di guardare al mondo.
Alla vita e alla morte di Justa, Lucía e Luciana il regista ha voluto donare una dignità non scontata, filmandole a una rispettosa distanza (Sepúlveda è anche un documentarista), che permette agli spettatori di familiarizzare con ritmi di vita così estranei senza esserne sopraffatti. E del resto la presenza di Digna nel cast, del tutto digiuna di cinema ma molto coinvolta nella vicenda, imponeva un approccio il più possibile delicato.
Nei crediti del film troviamo alcuni nomi di primo piano del miglior cinema cileno contemporaneo, dal direttore della fotografia Inti Briones a Pablo Larraín, coinvolto in veste di produttore con la sua Fábula.