Idealmente, gli anni che la protagonista di The Woman Who Left, Horacia Somorostro, passa in carcere a causa di un'ingiusta condanna per omicidio attraversano a ritroso l'intera storia filippina moderna. Dal 1997, anno della liberazione di Horacia e di ambientazione del film, la pena lunga tre decenni ridiscende sino alla metà dei '60, alla dunque alla prima presidenza Marcos e poi, risalendo, allo svilippo economico del paese, al dilagare della corruzione e della criminalità, alla guerriglia comunista e al Fronte di Liberazione Nazionale del Moro, alla proclamazione della legge marziale e alla sospensione dei diritti costituzionali, alla Quarta repubblica, all'omicidio Aquino, all'esilio di Marcos e alla Quinta repubblica. Un arco di tempo decisivo per lo stesso cinema di Lav Diaz, all'interno del quale sono ambientati film come Evolution of a Filipino Family o From What Is Before e che pesso è la base per una complessa e stratificata antropologia sociale delle Filippine.
Di questa porzione di storia, Horacia Somorostro non è stata né protagonista né spettatrice. Figura unica nel cinema di Lav Diaz, quasi ne nega la natura stessa. Aliena alla società da cui è stata esclusa, la donna è una figura vergine, priva di un'identità, legata a un passato che intende in tutti i modi negare. Confinata in prigione per un crimine che non ha commesso, Horacia ha dormito per trent'anni attraversando inconsapevole l'evoluzione di un mondo, le sue crisi, i suoi conflitti, i suoi trattati di pace e le sue costituzioni.
The Woman Who Left si apre con la liberazione di Horacia, scagionata dalla confessione della vera colpevole dell'omicidio di cui era stata accusata. La donna conosce il mandante del crimine (è un suo ex fidanzato, il rampollo di una famiglia ricca e potente che a suo tempo decise di vendicarsi per essere stato lasciato), sa dove trovarlo, lo raggiunge anche e lo osserva da lontano, ma resta indecisa fra vendetta, pietà o perdono.
Il Paese che Horacia ritrova una volta libera, come si viene a sapere delle frequenti notizie radio ascoltate nel film, è un Paese attraversato dalla violenza e dalla piaga dei sequestri di persona. Sono i giorni della prima grande crisi del sudest asiatico, della presidenza Estrada, della riconciliazione fra governo, comunisti e musulmani, dei primi segnali di quella frattura economica e sociale che avrebbe poi segnato il secolo successivo. Horacia si muove in un terra che non può riconoscere, che non l'hai mai conosciuta e con la quale lei stessa non vuole entrare a patti. È una sonnambula, vive ancora il sogno e l'amnesia che l'hanno tenuta lontana per tre decenni. Horacia è fuori, dentro il mondo, ma non può prenderne parte. In prigione è stata abbandonata dai familiari; a parte la figlia, non vuole che nessuno sappia della sua liberazione; ha un altro figlio, scomparso nel nulla, che la sorella ha smesso di cercare; appena tornata nel paese d'origine vende la sua proprietà; quando si reca nella città dove vive il colpevole della sua tragedia, si muove come un fantasma, vive tre vite, si fa chiamare con altrettanti nomi, si traveste da uomo, da donna pia, da proprietaria di un piccolo ristorante e fa la carità senza chiedere nulla in cambio. In un paio di occasioni ha scoppi di violenza improvvisa, più spesso osserva gli altri e li accudisce.
Horacia è la protagonista del proprio sogno, non dorme e non mangia (dice sempre di essere piena, di non avere ancora appetito), vive soprattutto di notte, passa il proprio tempo con poveri disgraziati e relitti sociali (un gobbo, una pazza, un travestito pestato a sangue) rappresentatei, però, anch'essi come fantasmi emersi dal buio, demoni o creature mostruose di una città silenziosa e deserta.
I tempi dilatati dei tipici piani fissi in bianco e nero di Lav Diaz, le azioni lente e ripetitive dei suoi personaggi, la recitazione meccanica e spersonalizzata degli attori (tutto ciò, insomma, che rende riconoscibile, inimitabile, fortemente formalista e forse un po' manierato il cinema di questo regista) costituisce la struttura onirica di una viaggio al centro della notte.
Alla sparizione delle persone sequestrate nella realtà storica del tempo e all'inquietante, ironico legame di questi eventi con la morte della principessa Diana e Madre Teresa di Calcutta), nel film fa eco la sparizione di un'identità non solo personale, ma collettiva. In The Woman Who Left il travestimento fisico o morale è una prerogativa di tutti i personaggi, la menzogna una pratica di sopravvivenza per i più poveri o una prerogativa di potere per i più ricchi (straordinario in tal senso il momento della confessione del colpevole della sorte di Horacia). La stessa, inconfondibile fissità dello stile di Lav Diaz viene spezzata o messa in discussione da inusuali controcampi, da scavalcamenti di campo e duplici, triplici cambi di prospettiva sulle medesime situazioni...
In questo modo Lav Diaz insinua l'elemento del dubbio nella propria rappresentazione: interroga come sempre la durata dello sguardo del cinema e dell'occhio di chi lo guarda; costruisce inquadrature su più piani facendo dialogare la luce e il buio, il vuoto e le architetture; usa l'alta definizione per approfondire gli spazi o, al contrario, creare magnifici effetti di altorilievo... Eppure, nonostante ciò, per la prima volta in The Woman Who Left il suo mondo sembra sul punto di crollare. O forse, più semplicemente, è il sogno di Horacia che rischia di finire, con la notte spezzata da uno sparo.
E succede, infatti. Succede che, letteralmente, il sogno finisca. Lo sparo c'è ma non si sente, e un'ora circa dalla fine del film, quando il segreto di Horacia viene finalmente scoperto, la donna per la prima volta si addormenta. E al suo risveglio, il sogno a occhi aperti è finito. E subito dopo la macchina da presa a mano, seppur brevemente, corre a perdifiato per le strade, traballa fra scossoni e fonti di luce slabbrata: Horacia è finalmente sveglia, viva nel mondo, e ancora una volta costretta a fare i conti con la giustizia degli uomini e la sua assurdita, il suo senso paradossale e grottesco delle cose.
The Woman Who Left è il racconto di una caduta, di un atterraggio, e di una nuova fuga. C'era una donna, dice la voce off alla fine, che aveva un desiderio e questo desiderio era come un sogno; il sogno era come una fortezza e nella fortezza c'era una finestra dalla quale era impossibile uscire. Poi quella donna c'era di nuova, una seconda volta, e aveva lo stesso desiderio, lo stesso sogno, e c'era la stessa fortezza della quale era prigioniera... Cosa cerca Horacia nel corso del film? Cerca di uscire dal proprio sogno. Ma solo in quel sogno sa di essere se stessa. Horacia aspetta, cammina, guarda, osserva. L'assenza per lei è la forza che la spinge fuori dal sogno. Ma, ancora, da quel sogno non sa, non può e non vuole uscire. Horacia così continuare a vagare, a girare in tondo, proseguendo su questa terra, a Manila come nel mondo intero, la vita impossibile (almeno agli occhi del cinema di Lav Diaz) di chi ha perso il legame con la Storia.
Una nessuna e centomila, madre di tutti quanti, madre di ogni figlio scomparso o rapito su questa terra, Horacia è libera, unica, altra, e per questo tragicamente sola.