Concorso

Downsizing di Alexander Payne

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E’ dai tempi di Méliès che il cinema gioca con le proporzioni di oggetti e persone, dilatandole e/o riducendole a beneficio di uno spettatore ammaliato dalle alchimie del gigantesco e del minuscolo. In Downsizing, firmato da un cineasta umanista come Alexander Payne, il fenomeno della miniaturizzazione viene invece declinato in chiave realista e tenuto a debita distanza dalle suggestioni visive del genere fantastico. 

Dunque, laddove l’invenzione di un metodo per rendere minuscoli gli uomini viene perlopiù ricondotta ai deliri del “solito” scienziato pazzo, qui la novità nasce dagli scrupoli ambientalisti di un pool di fisici norvegesi, convinti che, ridotti nelle misure, il genere umano consumerà e sporcherà di meno.  Appena si diffonde, essa però viene rapidamente contaminata dalla realtà del nostro tempo, con le paure e le speranze che le sono proprie: da una parte si traduce in una colossale opportunità di riscatto economico, poiché le creature tascabili, obbligate a consumi ridotti dalle loro dimensioni, possono migliorare esponenzialmente il proprio tenore di vita; dall’altra moltiplica l’approdo in occidente di migranti che, date le fattezze minuscole, riescono di fatto a nascondersi ovunque. 

A dispetto del tema, Downsizing non è un film piccolo, ha anzi semmai il problema opposto, quello di rimanere schiacciato dalla mole, davvero gigantesca, delle proprie ambizioni.

Commedia sociale nella prima parte, punteggiata di notazioni satiriche che hanno per oggetto l’idea delle creature minuscole come diversamente abili, quindi apologo sui guasti e gli squilibri del benessere, infine critica dell’estremismo ambientalista, il film muove passi incerti in varie direzioni senza imboccarne davvero nessuna. 

Eccellente narratore semiserio dell’America di provincia (vedere Nebraska per credere), Payne si muove con disinvoltura sino a quando può giocare di sponda sui vizi e le debolezze dell’americano medio; nel momento in cui però il film vuole farsi serio e seriamente politico, la metafora della piccolezza come lente di ingrandimento di un mondo storto e sbagliato perde colpi e scade in retorica a buon mercato.