La terra è un deserto: pale eoliche arrugginite, relitti di fabbriche disseccate, rottami di ipermercati e lo skyline disegnato da scheletri di rifiuti che rimpiazzano i grattacieli che non ci sono più. Una distesa ocra ormai disabitata da uomini, animali, piante. Non c’è vita sul pianeta, tutto è stato distrutto.
Ma la terra non è sola. A solcare quelle che un tempo erano strade e ora sono sassose pietraie c’è un piccolo robot – dal profilo inconfondibile di un E.T. meccanizzato – che non dimentica il proprio lavoro: ammassare rifiuti e compattarli, senza sosta, come a voler dare ordine al caos. Dentro quel cubo di ferro si nasconde però un idealista.
Wall·E è un soldato del fare, discerne tra ciò che ha vita e ciò che non ne ha, sa distinguere tra umano e non umano e – visto che gli abitanti della terra hanno prodotto solo rovine – progetta un recupero, usa il riciclo come conservazione e reinvenzione della memoria collettiva. Ricostruisce un museo del quotidiano, una guida nostalgica verso gli oggetti di uso comune – le “piccole cose di pessimo gusto” di Gozzano; ciò che, per Calvino, “in mezzo all’inferno, non è inferno” – lasciati alla deriva da un’umanità in fuga da se stessa, dimentica della sua anima.
Gli uomini sono lontani, affogati nello spazio in astronavi da crociera dove atrofizzano corpi e cervello. Wall·E garantisce un’eredità, e lo fa con amore. È qui, ora, a tramandare il senso di una collettività che si è persa nella deriva di un pigro benessere senza domani. È il vagabondo di Chaplin, che attraversa il tempo e ne coglie lo spirito, eroe inconsapevole di un presente senza vita, unica speranza di un futuro ipotetico.
Il senso ultimo di Wall·E trascende il racconto per veicolare un messaggio radicale, inconcepibile in un film d’animazione teoricamente per bambini. Ha una visione disperata del futuro ma è sorretto da un umanesimo illuminista – il robot costruisce, senza saperlo, una nuova Encyclopédie – che scuote e commuove. E se la seconda parte del film deve in parte piegarsi alle regole della narrazione tradizionale (ma senza rinunciare a uno spirito ribelle), la sua prima ora resta nella memoria come uno dei momenti di cinema più lucido, sperimentale, politico, romantico, teorico di questo faticoso inizio di nuovo millennio.