A Woodstock, nel 1969, David Bowie non c'era.
David Bowie stava galleggiando nello spazio "in a most peculiar way / and the stars look very different today". Stava seduto in un barattolo di latta, lontano, sopra il mondo, prima di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins. Space Oddity, la stravaganza spaziale piena di echi e risonanze, fu registrata per la prima volta insieme ad altri nove pezzi a marzo del 1969; il singolo uscì l'11 luglio dello stesso anno. Il 20 luglio l'Apollo 11 atterrò sulla Luna. Nel 2013, il comandante canadese Chris Hadfield, solo per cinque mesi sulla Stazione spaziale internazionale, ha inviato dallo spazio una sua struggente interpretazione della canzone di Bowie.
Ispirata anche da 2001: Odissea nello spazio di Kubrick (uscito l'anno prima), Space Oddity è stata "tirata" da tutte le parti (parla di droga, è anti-establishment, ecc.), ma resta soprattutto un'intramontabile "visione" esistenziale: Major Tom, che perde il contatto con il "ground control" e comincia a librarsi intorno alla navicella, rappresentava (e rappresenta) tutte le anime solitarie che si aggirano sopra e intorno a questo triste pianeta blu.
Nel primo video della canzone, Bowie è ancora un ragazzo inglese biondo, con una tutina molto Sixties, un occhio azzurro e uno nero e i denti storti. In un video successivo, del 73, è luccicante e ha i capelli rossi e i canini appuntiti di Ziggy Stardust from Mars. Ripiombato sulla Terra nel 1976, ancora più malinconico e alieno, anche The Visitor del film di Roeg (e dopo di lui il Duca Bianco e gli altri Bowie) ha continuato a inseguire i silenzi pesanti del nostro mondo e le assenze di gravità dell'altro.
Le sue canzoni sono film, fino al buco nero ed eterno di Blackstar: un astronauta caduto molto tempo prima, ragazze diaboliche, una luna bianca e piena su un cielo nero, e un Duca un po' sgualcito con due bottoni (monete?) sugli occhi bendati. Ma gli Starmen non scompaiono, continuano ad aggirarsi nell'aria, negli occhi, nella mente di chi ha viaggiato con loro.