La lunga estate calda. Il 1969 come doppio squarcio anche nelle immagini in tv dell’Apollo 11. Un grande evento dentro un altro che ha fatto ugualmente la Storia. La nascita del mito del concerto di Woodstock secondo Ang Lee. Nel suo film intermedio tra Lussuria e Vita di Pi. Che mantiene il suo stile lineare e compatto. Senza nessun effetto psichedelico. Neanche il campo viola in apertura. Ma più che il festival di Woodstock che si è svolto dal 15 al 18 agosto, c’è tutto il racconto minuzioso della preparazione del Mito. Un motel in crisi, un giovane protagonista Elliot Tiber, autore del libro Taking Woodstock: A True Story of a Riot, Concert, and a Life da cui è tratto il film (scritto assieme a Tom Monte) che si trova all’improvviso davanti a qualcosa di inafferrabile. Woodstock è un altro grande sogno impossibile del cinema di Ang Lee. Gli sguardi si moltiplicano. Anche attraverso l’uso dello split-screen. Ma tutta la libertà è già prima delle esibizioni immortali di Janis Joplin, The Who, Jefferson Airplane o Jimi Hendrix. È nel gruppo locale dove gli attori si spogliano sul palco. Nella statale bloccata. Nei cartelli “Stop the War”. Nell’ex-marine travestito interpretato da Liev Schreiber. E in quella corsa nel fango. Woodstock frantuma uno sguardo controllato. E a un certo punto anche quello di Ang Lee sembra inebriato. In un film che sembrava inizialmente minore. Ma col tempo acquista una magia sinistra.