Le quattro volte è una transumanza, quella di un’anima. Un percorso di transizione, un viaggio in cui si attraversano i confini tra le dimensioni, tra la vita e la morte, tra il dentro e il fuori, tra l’umano e l’animale. Ed è un film epocale perché in questo viaggio viene messa in discussione innanzitutto la centralità del punto di vista dominante nel cinema ovvero quello dell’uomo. La mdp di Frammartino cerca di liberare lo sguardo dalla necessaria immediatezza dell’immagine per lasciarle la libertà di scorgere l’invisibile dietro il reale; sta lontana infatti, ferma frontalmente alle cose, lasciando che nella profondità di campo chi guarda stabilisca delle priorità e da quelle sia guidato nella scoperta del continuum delle cose, nel ribaltamento della gerarchia che struttura il rapporto tra figura e sfondo, tra dentro e fuori. E proprio per questo, il centro del film è invece un piano sequenza che lascia che questa dinamica si costruisca e si palesi nella sua essenziale serietà intorno a un gesto comico che vale un secolo di cinema.