“Il n'y a pas d'amour, il n'y a que des preuves d'amour“.
Potrebbe essere sintetizzato così ciò che ha mosso John Wojtowicz nel 1972 a rapinare una banca di Brooklyn per ottenere i soldi necessari a far operare il suo amante di allora, rendendolo una donna. Da questo episodio di cronaca nel 1975 Sidney Lumet girò il suo capolavoro Dog Day Afternoon (Quel pomeriggio di un giorno da cani).
Frank Keraudren e Allison Berg, quarant’anni dopo, presentano alla Berlinale (Panorama Dokumente) un documentario, The Dog, sulla controversa figura di Wojtowicz.
Attraverso un lavoro di quasi dieci anni, in cui ai materiali d’archivio si aggiungono interviste al protagonista della vicenda, alla madre (incredibilmente emancipata), alle numerose mogli e ai molti amanti, ne esce un ritratto profondamente sincero e non edulcorato, dove è possibile scorgere la grande umanità e vitalità di John Wojtowicz, ma anche il suo lato più oscuro, manipolatorio, ossessivo.
Privo di qualsiasi moralismo o spinta agiografica, il film lascia emergere le contraddizioni di un uomo che, negli anni ’70, durante le battaglie per il riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità per gli omosessuali, divenne una specie di emblema, e venne riconosciuto trasversalmente come una sorta di anti-eroe buono, dalla parte del quale schierarsi.
Un uomo che avrebbe potuto aggiungersi alla schiera di ultimi cantati da Lou Reed (che non a caso viene inserito nella colonna sonora con Walk On the Wild Side): persone che al di là dei loro vissuti più o meno ambigui o discutibili, mantengono una bellezza e una complessità che li staccano dalla banalità rassicurante e media, per porli dalla parte irrisolta e problematica della vita, permettendo loro di custodire il mistero della loro esistenza, lasciandolo trasparire, senza svelarlo troppo.
In un’annata in cui la selezione berlinese risulta tutt’altro che interessante, così priva di guizzi e di sorprese, The Dog, che non è certo innovativo da un punto di vista linguistico, ha sicuramente il merito di ricordare ai numerosi registi di maniera che affollano le varie sezioni del Festival, che un film dovrebbe avere anche un cuore, non essere solo un esercizio di stile.
Per questo il documentario di Frank Keraudren e Allison Berg risulta commuovente ed è uno sguardo spudoratamente onesto gettato sulla condizione umana, privo di filtri e di pietismi, mostrando quello che fa la bellezza stessa dell’uomo, ossia l’imperfezione.