Uno sguardo, un gesto, un movimento quasi impercettibile degli occhi, della bocca, del corpo: Charlotte Rampling non è un’attrice, è una donna di Picasso, va vista da molteplici punti di vista, interpretata come un libro; è un corpo da osservare e capire, per chi la dirige e la sa tenere sotto controllo molto probabilmente è un’ossessione.
45 Years, il film di Andrew Haigh presentato ieri in concorso alla Berlinale, è un film con lei, Charlotte Rampling. Ma soprattutto è su di lei, e più ancora di lei: il magnetismo quasi minaccioso della sua presenza in scena riporta ai tempi di Sotto la sabbia, alla solitudine devastante dei suoi occhi, al senso di paura, smarrimento e fallimento che il suo volto racchiude, trasmette e restituisce allo spettatore.
Nel film la Rampling, ormai quasi settantenne, è la moglie tranquilla, fredda ma felice di un uomo della sua stessa età: insieme i due vivono nella campagna inglese, sono benestanti, ex insegnanti di filosofia, stanno per festeggiare in gran stile 45 anni di matrimonio, non hanno figli e non sono pentiti della scelta. Una lettera, però, mette tutto in crisi: l’ex fidanzata del marito, morta cinquant’anni prima durante un’escursione nelle Alpi svizzere, è stata ritrovata sepolta sotto il ghiaccio, il volto intatto, giovane e bella come allora. L’uomo va in crisi, non platealmente ma in maniera sottile, un po’ alla volta, mentre la moglie vede tutto disgregarsi attorno a sé, le convinzioni di una vita, le consuetudini di un matrimonio. Capisce di non essere stata amata come ha sempre pensato, vede svanire in un attimo 45 anni di relazione.
Andrew Haigh – già regista del notevole Weekend (2011) e tra gli autori della serie Looking – racchiude nello spazio della casa la tensione quasi inepressa ma sottilissima fra i due personaggi: la Rampling che trattiene tutto, che strappa ogni reazione (una mano tolta di scatto, un sorriso forzato, un corpo negate) e Tom Courtenay, altrettanto straordinario, che di rimando va in pezzi lentamente, perdendo il controllo dei movimenti, facendosi travolgere dal fantasma della vecchiaia, della demenza, dell’oscenità.
45 Years è un film di fantasmi: fantasmi in scena, fantasmi nel tempo, fantasmi nelle immagini – una foto trovata e non vista, una proiezione di diapositive riflessa sul muro e sul corpo della Rampling, in un bellissimo, controllattimo dialogo impossibile – fantasmi nella memoria di chi ha sempre nascosto tutto, e non l’ha mai saputo.
Haigh pecca forse di eccessivo controllo e non rinuncia all’idea di un cinema confezionato e girato perché nulla sconvolga veramente e tutto si fermi un secondo prima del crollo. Con un poco più di coraggio, con un montaggio meno narrativo e più insistito sulla relazione fra i due protagonisti - che insieme allestistiscono momenti di cinema puro, cinema di parola e di primi piani - avrebbe potuto girare un film ancora più spudorato, ancora più nudo ed essenziale. Un film sulla relatività di tutto, in questa vita lunga e lontana, dall’amore al tempo alla vicinanza fisica.