Segnali collidenti alla Berlinale 65, un po’ come in questa immagine scattata dietro all’Audi Lounge ancora in allestimento durante il primo giorno del festival. Il camion va in una direzione, il segnale indica quella opposta; l’Orso ti dà il benvenuto, come recita la scritta, ma il locale dove ti dovrebbero accogliere non è ancora pronto...
E se il film d’apertura non è mai il migliore, dovendo necessariamente rispondere ad altre più “politiche” caratteristiche, Nadie quiere la noche (o Nobody wants the night come recita il titolo internazionale) di Isabelle Coixet, con Juliette Binoche come protagonista, mi ha spinto a scattare questa foto, di notte, al “Denkmal Für Die Ermordeten Juden Europas”, il Monumento alle Vittime dell’Olocausto, con il buio, il gelo, la solitudine che la superficie liscia di questi lastroni di cemento, coperti da un sottile strato di neve, ricordano nella loro ribadita anche se sghemba simmetria.
E se Histoire de Judas di Rabah Ameur-Zaimeche, visto al Forum, ci porta a riflettere su un’altra versione della storia, un ruolo differente per uno dei più detestati personaggi della tradizione cristiana - vinto in realtà dalla sua stessa solitudine - è un’altra solitudine, quella dei protagonisti di Beira-Mar di Felipe Matzembacher e Marcio Reolon (sempre al Forum), economicamente fortunati ma disperatamente sempre alla ricerca di se stessi, che mi ha spinto a scattare questa foto dai forse inconsapevoli rimandi hopperiani
Stamattina, il film migliore visto finora, Taxi di Jafar Panahi, mi riporta ad ambiti più urbani, e permette a questo regista iraniano di dimostrare come anche con mezzi poverissimi sia possibile raccontare storie che coinvolgano in profondità qualsiasi pubblico. Trovano posto allora sui sedili di questo taxi questioni importanti come la liceità nel comminare la pena di morte, o la domanda su quanto sia etico rubare anche se si è stretti nella morsa del bisogno, e poi la discriminazione odiosa delle donne, ma anche il comico desiderio della giovanissima nipote del regista di auto-prodursi un cortometraggio che sia “distribuibile”, o ancora meglio “commerciale”, e che quindi segua le regole del mercato così come della censura preventiva del sistema politico iraniano.
Ed è proprio nelle linee severe e parallele di questo edificio ripreso di notte, linee e tondi che si alternano in modo così straniante, strutture rese ancor più originali dall’illuminazione di diversa temperatura, che mi è sembrato di poter rendere visivamente queste mie impalpabili sensazioni.