C’è una scena simbolo che identifica tutto il cinema di Fellini, l’autentica epifania di un ingannatore dell’immaginario, di un architetto di mondi paralleli: l’arrivo di Guido Anselmi, annunciato con voci gaudiose, il portone che si apre, la finzione di un esterno, l’incanto di una tormenta di neve falsa che invade lo schermo, e lui che entra in questo ennesimo harem di donne, con il suo carico di pacchi doni, a ciascuna il suo, perché «ogni pacco ha il suo nome». E allora mai come stavolta Marcello è davvero Federico, che irrompe sulla scena e porta con sé i propri regali, che sono i suoi film, ognuno con il nome sopra e dentro tutti c’è una sorpresa. E con generosità li offre a noi, al suo pubblico, che li stavamo aspettando. Qui e per sempre, come se la meraviglia non avesse più bisogno di un tempo per manifestarsi: l’invenzione del luogo filmico, terreno di ogni desiderio, la città di Federico. E il cinema va. 8 ½, che altro?