Il primo pensiero per il centenario felliniano va a Toby Dammit di Tre passi nel delirio. Cioè al perfetto damned (nomen omen, già però nel racconto originale di Poe) di una parabola autodistruttiva, inaugurata dalla rappresentazione allucinata del Grande Raccordo Anulare. Straniato e tragicamente straniero, Toby Dammit è incapace di comprendere o restare nell’ambiente che gli è stato assegnato, il cinema. Ne trae le definitive e fatali conseguenze entrando in contatto con l’orrenda e provinciale società dello spettacolo (all’)italiana, la quale si trascina da un premio all’altro con mostri (e mostre, festival, manifestazioni a vario titolo), parte integrante della massa chiassosa, immonda e mondana che sciama dalla strada alle istituzioni, dal cinema e alla televisione.
L’incubo felliniano passa attraverso l’incapacità dei vari Dammit (come Moraldo, altro nomen omen, in quanto asse “morale” de I vitelloni) di comunicare. La percezione delirante dell’ambiente deteriore circostante, e il forsennato, fatale allontanamento finale, può siglare per un simile (con)dannato al e dal cinema davvero la fine: la morte per emblematica e (auto)punitiva decapitazione.