L’impatto con Roma attraverso gli occhi sgranati di Ivan e Wanda Cavalli, a partire da Marc’Aurelio, la cui sede era davvero di fianco a quella del fantomatico Cine Illustrato. Il set – quello povero dei fotoromanzi – raccontato con l’ambiguità di un provinciale che ne osserva divertito la traballante cialtroneria ma insieme ne subisce il fascino naif. E la Masina, prostituta di buon cuore che porta il nome di Cabiria... Insomma, un caravanserraglio che possiede già un'inconfondibile pregnanza immaginaria, in uno dei film più radicalmente felliniani il cui soggetto paradossalmente deriva da Antonioni. Un capolavoro che, pur nella sua mozartiana levità, esibisce un cinema la cui durezza si incattivirà ulteriormente in Il bidone. In cui il protagonista è una caricatura della mediocrità piccoloborghese, il mondo dei fumetti un milieu straccione popolato di macchiette isteriche e bulli di quartiere. Dunque, nessuna possibilità di ricomposizione tra sogno e realtà per Wanda, nonostante la battuta finale «Sei tu il mio sceicco bianco» rivolta al marito. La sua enfasi melodrammatica viene infatti raggelata da un tassista presago, che congeda gli sposini con un tombale «Buona fortuna».