Di solito le cose vanno in questo modo: la gente sa di cosa mi occupo, mi chiede cosa penso di un determinato film, poi non si trattiene ed esprime il suo parere ancora prima che io abbia iniziato a rispondere. Ma nell’ultima settimana, su Lo sconosciuto del lago, ho colto atteggiamenti diversi: la gente aspetta di sapere cosa ne penso io, non si esprime spontaneamente, talvolta appare quasi confortata dal fatto che il film a me non è piaciuto. Pur apprezzandone l’uso dello spazio e la messa in scena, l’ho trovato noioso e monotono, tant’è vero che a Cannes dopo un’oretta sono uscito dalla sala.
Il punto è: perché lo scarso gradimento di questo film è in odore di omofobia? Perché coloro che non lo hanno apprezzato temono, esprimendo la propria opinione, di essere guardati e valutati come individui retrogradi e conservatori? Va bene, abbiamo fatto tutti, da Bourdieu in giù, le nostre buone letture, sappiamo perfettamente che gli apprezzamenti estetici si portano dietro costumi sociali, inclinazioni culturali e dunque, inevitabilmente, atteggiamenti politici. Ma La distinzione è un testo del 1979, da allora sono passati più di trent’anni, nel frattempo sono arrivati i cellulari, i dvd e i computer: non sarebbe il caso di fare qualche passo avanti anche nel campo della cultura?
La prossima settimana si ricomincia: fresco di Palma d’oro, esce il nuovo film di Kechiche. A me è piaciuto, ma chi la penserà diversamente potrà farlo ed esprimerlo in tutta serenità, senza essere guardato come uno stolido alfiere dell’eterosessualità?
(Leggete le recensioni del film di Pier Maria Bocchi, "Miracolo queer", e di Roberto Chiesi, "L'amore cannibale", ma anche il "Boccone prelibato" dedicato al "Cinema altro (2) - Vendetta gay")