Facciamo un breve riassunto: per il secondo anno consecutivo l'Academy non ha candidato per nessuna categoria che riguarda gli attori (sia protagonisti che non-protagonisti) alcun attore o attrice di colore. Appena appresa la notizia subito ha iniziato a circolare su twitter l'hashtag divenuto popolare già l'anno scorso: #Oscarsowhite. Spike Lee, Jada Pinkett e Will Smith (e forse altri si aggiungeranno, Mark Ruffalo dice che ci sta pensando...) hanno dichiarato che non parteciperanno alla cerimonia di premiazione in polemica con le decisioni dell'Academy. E ieri poi è scoppiata una vera e propria bomba mediatica con le dichiarazioni di Charlotte Rampling, che in modo non proprio elegante dato che è pure diretta interessata essendo candidata per 45 anni, ha detto in un'intervista alla radio francese Europe 1 che l'idea di boicottare gli Oscar sarebbe "razzista nei confronti dei bianchi" (sic!) mentre forse, a suo parere, quest'anno semplicemente non c'erano attori di colore che meritavano la candidatura. Insomma, sembra dire la Rampling, non si può certo candidare qualcuno solo perché è di colore, perché questo sarebbe razzismo al contrario, giusto? No, non proprio.
A noi pare che sia un vero peccato che un'attrice così importante e intelligente come Charlotte Rampling si lasci andare a una tale leggerezza. Parlare di razzismo al contrario (che è una formula che quasi sempre inaugura una sciocchezza) ignora completamente il fatto che il problema non è assolutamente quello delle fantomatiche “quote nere” delle candidature, né del fatto che quest’anno Michael Fassbender sia stato candidato al posto di Michael B. Jordan, o che Creed - Nato per combattere o Straight Outta Compton non siano stati candidati come miglior film. Il problema insomma, non sono le nomination di quest’anno ed è ancor meno interessante mettersi a discutere se Idris Elba sia o no un grande attore. La questione è molto più generale e può essere compresa solo se facciamo un passo indietro e guardiamo non solo alla storia della nomination dell’Academy (sulle quali grave un enorme sospetto di “quote bianche” semmai), ma anche e soprattutto a come l’America affronta la riproduzione dei rapporti sociali e razziali. A Hollywood così come nel resto della nazione.
E quindi, perché dire che boicottare gli Oscar è razzista nei confronti dei bianchi è una enorme e imperdonabile sciocchezza?
Proviamo a metterci a vedere la luna e non il dito. Quello che succede, non solo a Hollywood - piccolissimo e insignificante angolino di quella grande cosa che chiamiamo società americana - è che alcuni rapporti sociali vengano continuamente riprodotti in un certo modo, e che questi rapporti, per qualche strano meccanismo, fanno sì che le persone che emergono, dal punto di vista economico ma anche artistico e culturale, siano quasi sempre un po' più bianche di quelle che rimangono indietro. Le statistiche sono arcinote: un maschio nero in America a 20 anni ha più possibilità di finire in carcere di quante ne abbia di finire all'università. I neri sono la metà della popolazione carceraria (sarà una cosa legata alla razza... immagino). Se sei nero, avrai la quasi certezza di avere un lavoro di merda, di vivere in un posto di merda, di avere un reddito sotto la soglia di povertà e di morire prima degli altri. Succede anche ai bianchi, of course, l'America in quanto land of the free è una società iniqua con tutti, non solo coi neri. Però, se scendiamo sempre di più nella scala sociale vediamo che il colore della pelle magicamente si scurisce. Un caso?
Ora, cosa c'entra tutto questo con gli Oscar e gli award? Apparentemente nulla, se non che Hollywood – appunto, in quanto piccolo e insignificante angolino di quella grande cosa che chiamiamo America – la sua parte la fa eccome nell’aiutare questo meccanismo di riproduzione sociale. Se pensiamo ai grandi registi americani della storia del cinema sono tutti maschi e sono tutti bianchi. Un caso? Evidentemente no. Vuol dire che ce n'erano di neri più bravi di loro ma che non sono stati scelti perché a Hollywood sono tutti dei white suprematists? No, evidentemente non è questo quello che è successo. Non c’è uno Spielberg di colore rimasto sconosciuto che dobbiamo risarcire per colpa di qualche produttore razzista. Il meccanismo è molto più insidioso proprio perché è impersonale. È per questo che Charlotte Rampling nel dire "forse non c'erano dei neri che meritavano di essere candidati" mostra di non aver capito nulla del modo di come il razzismo si forma in un paese. Un meccanismo impersonale è quello per cui l'accesso all'università, e poi alle scuole di cinema (che ricordiamocelo, in America costano tutte fior di quattrini), ai finanziamenti dei produttori, a tutto il sistema Hollywood che fa sì che un film possa vedere la luce etc... tutto questo, per qualche strano e imperscrutabile meccanismo, abbia finito per far sì che quelli che venissero premiati fossero bianchi. Il razzismo - e questa è la cosa che è più difficile da capire - non è l'atteggiamento di una persona. Nessuno – a parte forse i nazisti dell'Illinois – dice di essere razzista. Una società però razzista può esserla quando – come fanno gli Stati Uniti – produce, attraverso meccanismi impersonali e "di sistema" una certa ripartizione razziale dell'emancipazione sociale. È per quello che, con buona pace della signora Rampling, non è possibile essere razzisti nei confronti dei bianchi. Perché non esiste una società - cioè un meccanismo allargato di riproduzione sociale - che discrimina le persona dalla pelle bianca.
La critica al sistema Hollywood (e Spike Lee è uno che queste cose le ha dette in tempi non sospetti e con in modi che non erano certo quelli della polemichetta pre-Oscar) deve allora partire da qui: dai casting, dai finanziamenti alle produzioni e in generale con una politica culturale e della formazione che sia un po' più equa. Che quindi dia più possibilità ai neri, alle donne (sappiamo tutti qual è il numero di donne registe attive in questo momento a Hollywood), ma ancora di più direi a tutti quelli che vivono in una condizione economica o sociale svantaggiata. Perché la stragrande maggioranza di quelli che si possono permettere di fare una scuola di cinema in America è perché o vengono da una famiglia di classe agiata o perché si indebitano fino al collo con delle banche con il rischio di finire strangolati. Sarebbe bello fare una contro-storia di tutti quelli che non ce l'hanno fatta ad entrare nel mondo del cinema americano: sono sicuro che saranno moltissime le persone di talento (basta farsi un giro per le strade di Hollywood per incontrarne a centianaia), ma sono pure sicuro che molte di queste verranno da situazioni sociali svantaggiate. Perché per farcela, per avere talento, per avere i contatti giusti, per essere esteticamente più accettati, conta l’estrazione familiare, conta l’estrazione sociale, ma in America conta anche moltissimo avere il colore della pelle giusto.
Ha senso allora prendersela con le candidature dell'Academy, come stanno facendo Jada Pinkett, Spike Lee e Will Smith? Ha senso dire che l'Academy ha voluto snobbare le interpretazioni di attori di colore? (chissà perché poi non lo si dice dei registi: forse perché gli unici due registi di colore, su decine e decine papabili per una candidatura, erano Spike Lee e Ryan Coogler? Un po' pochini, non trovate? Non vi sembra che forse anche questo dica qualcosa?) Anche qui basterebbe fare un passo indietro, lasciarsi alle spalle la polemica Michael B. Jordan-sì/Michael B. Jordan-no e dare un’occhiata alle statistiche e vedere quali sono i trend sul lungo periodo. Ci sono attori come Samuel L. Jackson – uno che quest'anno avrebbe strameritato una candidatura per The Hateful Eight – che è stato candidato solo una volta come attore non protagonista e che non ha mai vinto né un Oscar né un Golden Globe (mentre attrici come Jennifer Lawrence a 25 anni hanno già il palmares di una veterana). Spike Lee ha avuto solo due candidature per un documentario e una sceneggiatura e non ha mai vinto un oscar. Nessun regista nero ha mai vinto l'Oscar alla regia, e nemmeno al montaggio o alla fotografia. In tutta la storia dell'Academy solo cinque attori o attrici hanno vinto un Oscar come protagonista (Sidney Poitier, Denzel Washington, Jamie Foxx, Forest Whitaker e Halle Berry) su più di cento e oltre possibilità. E la stessa cosa la si potrebbe dire dei Grammy e di altri awards dello spettacolo.
Insomma il problema non è l'Academy, il problema è il razzismo profondo iscritto nei rapporti sociali della società americana. Ma certo bisogna riconoscere che anche l'Academy – in quanto piccolo e insignificante angolino della società americana – a volte ha fatto la sua parte a riguardo. E tutto sommato è pure giusto che ci sia qualcuno che glielo faccia notare.