C’è anche Sid & Nancy tra i film che il Tff 34 mette in scena per ripercorrere la storia della musica e della cultura punk nella rassegna “I did it my way”. Un film, quello firmato da Alex Cox nell’86, ormai considerato un grande classico del genere. Una pellicola che, nel raccontare la storia d’amore e autodistruzione tra Sid Vicious (membro dei Sex Pistols, che pure sono assenti dalla colonna musicale del film) e Nancy Spungen, cerca di far luce anche su una generazione, su uno stile di vita che cambiò radicalmente non solo gli anni ’70, ma anche tutti i decenni che seguirono.
Il film di Cox, infatti, ha il grande pregio – visto anche dalla prospettiva odierna, oltre il mito che oggi circonda il film – di non prendere parti. Una regia silenziosa che non giudica e allo stesso tempo non glorifica, ma semplicemente mostra. Mostra dei ragazzi pronti a rompere qualsiasi schema: sociale, attraverso la ricerca dell’anarchia e della libertà e la sovversione delle regole del vivere civile; linguistico (anche se lo si percepisce solamente guardando il film in lingua originale, perché il doppiaggio tende ad appiattire e unificare la forza espressiva); estetico, indossando tutto ciò che fino ad allora sarebbe parso semplicemente brutto (dalle borchie, alle spille da balia, alle calze a rete strappate, alle catene e al trucco colato); di valori, al punto che persino quel che ricercavano i “cugini prossimi”, gli dei del rock’n’roll, ovvero il sesso, diventa sopravvalutato e noioso. È nichilismo totale, è – solo e soltanto – voglia d’essere qualcosa che non c’era mai stato, di distruggere tutto, cambiare tutto, pur non credendo in niente, se non nell’atto stesso della distruzione.
Eppure questo immenso calderone ribollente fa solamente da sfondo, nel film, alla coppia Sid e Nancy, al loro infinito turbinio di amore, passione, vomito e siringhe, alla loro discendente spirale verso l’apatia dell’eroina. Gary Oldman e Chloe Webb sembrano quasi smettere di recitare, per diventare essi stessi sopra le righe e irriverenti, il fragile musicista e l’isterica groupie americana dagli affetti morbosi. Lo diventano al punto che la bolla d’amore e droga in cui vivono – simboleggiata da un lungo, celeberrimo fermo immagine di un bacio tra le macerie e le rovine – finisce per essere anche il filtro di tutta la vicenda per lo spettatore.
Tutto scompare attorno a Sid e Nancy. Tutti diventano comparse della loro storia, perdendo forza e vigore, perdendo anche realismo. Gli amici e i conoscenti dei due (tra i quali compaiono brevissimamente Curtney Love, Slash e Iggy Pop) sembrano infatti poco più che ubriaconi, “fattoni” di poco conto. Fino a quello che è stato spesso considerato il personaggi peggio reinterpretato: il Johnny Rotten di Andrew Schofield, ricreato come un pedante ometto fissato con le parole dei testi, che quasi sembra uno di quei “padri” tradizionali da cui i ragazzi del tempo fuggivano, più che un portavoce della cultura punk.
E così restano solo Sid e Nancy. La tenerezza, che lascia il posto a botte e grida, e che infine viene scalzata dalla totale apatia e perdita della cognizione del tempo: non c’è più giorno o notte, non c’è più lunedì o martedì, c’è solo il momento in cui la droga è nella siringa, quello in cui è nel corpo, e quello in cui va ricomprata o ci si ritrova a tremare con la schiuma alla bocca. Al Chelsea Hotel ci si dimentica persino come ci si è arrivati, ma è là dentro che si fissa lo schermo di una televisione per ore e ore, mentre la sporcizia si accumula. E poi c’è la reale e simbolica caduta dalle scale di Sid, che da quel momento non saprà più compiere un solo passo libero dall’assoggettamento della droga; c’è la stanza che va a fuoco, nell’indifferenza, verso le proprie cose ma – ancora una volta emblematicamente – anche verso se stessi. E infine (o meglio, in principio, poiché tutta la vicenda è un lungo flash back), c’è l’incapacità di percepire la gravità delle proprie azioni, il dolore sul proprio corpo, la morte che sopraggiunge. È un bagno di sangue, è l’omicidio di Nancy.
Ma non è la fine della storia.
Il film si chiude infatti in chiave onirica: Sid, uscito da una pizzeria fatiscente, balla con dei bambini (che lui chiama “nani”) nella nebbia di New York, si avvicina un taxi e al suo interno trova Nancy, bellissima e ancora viva, con la quale fugge via. È un sogno che riprende una precedente scena onirica, in cui Sid, in elegante giacca bianca, cantava per una platea di aristocratici e per una Nancy incoronata di spine, salvo poi aprire il fuoco contro il pubblico, compresa la fidanzata, che pure si rialzava e lo raggiungeva sulla scalinata, illuminata da centinaia di faretti, per baciarlo…
È la duplice rappresentazione dell’amore malato di Sid, che anche nel momento in cui la sua vita va in pezzi, nel momento in cui vorrebbe uccidere Nancy, liberandosi di lei e della sua influenza negativa, e anche quando dopo averlo uccisa per davvero, non smette mai di amarla.