L’incidere di 2557 di Roderick Warich è molto simile all’incidere del ricordo o, se preferite, del sogno. La consistenza è la stessa. Vaga, indefinita ed eterea e allo stesso tempo concreta, dura e capace di cogliere il punto, selettiva e contemporaneamente precisa, capace di raccontare gli stati d’animo più intimi, autoreferenziali e soggettivi come di far risuonare echi sociali e politici.
2557 è l’anno del calendario buddista in cui la ventenne Salisa, protagonista/narratrice, ambienta i suoi ricordi e racconta una storia vissuta più che altro come osservatrice. Una vicenda che, se raccontata in maniera classica, si sarebbe potuta definire un thriller, ambientato nella Bangkok più profonda e periferica e fatto di furti, sparizioni, vendette, cacce all’uomo, scomparse, omicidi e fantasmi. Sullo sfondo, alla radio o al tv, risuonano un po’ distrattamente gli echi delle notizie che anticipano un colpo di stato reazionario.
Le immagini dipendono dal racconto in terza persona della protagonista/narratrice, raramente sono davvero autosufficienti. Anche quando lei è in scena l’ottica fondamentale rimane il suo punto di vista, inevitabilmente parziale e soggettivo. Non a caso, tra le testimonianze più “precise” della vicenda sono le sequenze che riportano le conversazioni su WhatsApp tra lei e gli altri personaggi. Così, vengono giustificati – immedesimandoci per un attimo nelle obiezioni di chi vuole dare una lettura più strettamente narrativa e “logica” alla storia raccontata – le risoluzioni vaghe, i dubbi che rimangono e i nodi narrativi solo accennati o indefiniti. Talvolta la storia avanza come se presentasse sospetti e indizi, plausibili ma non certi. Tutto secondo le coordinate del ricordo e dell’interpretazione di Salisa, e tutto filtrato, selezionato e interpretato in qualche modo dai suoi sentimenti e dai suoi stati d’animo, coevi alle vicende come contemporanei al racconto.
2557 diventa così un’affascinante, poetica e meditativa riflessione sulla memoria e sull’interpretazione soggettiva, selettiva e intima di vicende passate, con momenti dal sapore vagamente iper-realista che si alternano a inserti dichiaratamente metafisici, nei quali la vaghezza della memoria e la fallacità dell’interpretazione danno vita a veri e propri fantasmi. Il film di Warich dà pochi punti di riferimento, seguendo – appunto – le coordinate sfumate del ricordo e offrendo una costante atmosfera onirica, uno degli elementi decisivi da cui nasce il fascino dell’opera.
È un film che ha un ritmo placido e ponderato, contrastante con la tensione, la tragicità e la furia della vicenda raccontata, e che anche da questo contrasto trova linfa vitale. Tutto questo non significa che 2557 non sappia essere concreto e cogliere il punto di una situazione anche socialmente più vasta. Non tanto per i riferimenti al colpo di stato e alla deriva reazionaria, che, non interessando la protagonista/narratrice, rimangono nel sottofondo, apparentemente non dissimili dal ticchettio della pioggia che spesso risuona. Quanto per il ritratto di un gruppo di giovani spaesati e annoiati, apparentemente senza particolari prospettive e orizzonti, vittime di un’indefinitezza intima, sentimentale e sociale.